In occasione del 2 ottobre, giornata internazionale della nonviolenza proclamata dall’assemblea generale delle Nazioni Unite, riteniamo indispensabile esporre alcune idee, proprie del punto di vista umanista.
Prima di tutto sembra necessario fare una precisazione. Purtroppo dobbiamo constatare che usare solo il termine “nonviolenza” non è sufficiente. Infatti troppo spesso per nonviolenza s’intende semplicemente il non reagire, il non rispondere alle provocazioni, se non addirittura il porgere l’altra guancia, nel senso – travisato, per giunta - della sottomissione.
Strettamente associato a questo significato assurdo che si da al concetto di nonviolenza, c’è ovviamente il convincimento che l’unico modo di reagire sia quello violento. La storia attuale è piena, purtroppo, di esempi che possono dimostrare senza ombra di dubbio quanto sia effettivo ciò che stiamo affermando.
Risulta quindi necessario affiancare al termine “nonviolenza” l’aggettivo “attiva”. Che cosa s’intende per nonviolenza attiva?
Innanzitutto partiamo da un presupposto fondamentale: fino a quando non si realizzerà pienamente una società nella quale il potere risiede nell’insieme sociale e non in una parte di esso, che tratta come un oggetto l’insieme, molte cose si realizzeranno ancora sotto il segno della violenza.
Da questo punto di vista, quindi, usare la nonviolenza attiva come metodologia d’azione significa agire affinché si realizzi una società pienamente umana.
Gandhi, alla cui data di nascita si ispira la giornata del 2 ottobre, è stato ciò che è stato soprattutto perché non si è rassegnato ma ha combattuto, in modo nonviolento, per liberare l’India dalla dominazione inglese, contribuendo così alla costruzione di una società più umana.
Ciò che vogliamo dire, in altre parole, è che la nonviolenza è tale solo se è attiva, solo se propone, progetta e costruisce nella direzione di un reale progresso della società umana. Essere nonviolenti attivi, per esempio, significa, in campo politico, proporre un assetto istituzionale che preveda la piena partecipazione di tutti i cittadini alla vita politica.
Nonviolenza attiva significa, in sintesi, non rassegnarsi alla semplice tolleranza o alla semplice protesta ogni qualvolta si rischia un’altra guerra, ma fare di tutto per far avanzare la società umana verso la sua piena realizzazione.
Ecco perché il 2 ottobre non dovrebbe essere una giornata di commemorazione. Siamo d’accordo con la risoluzione delle Nazioni Unite quando riafferma "la rilevanza universale del principio della nonviolenza" ed "il desiderio di assicurare una cultura di pace, tolleranza, comprensione e nonviolenza". Ma, dati i presupposti precedenti, se il 2 ottobre è una data dedicata alla nonviolenza, essa dovrebbe riaffermare soprattutto il valore rivoluzionario della nonviolenza, perché i veri nonviolenti, in quanto attivi, hanno lavorato, stanno lavorando e lavoreranno sempre per sovvertire lo status quo, fino a quando non si realizzerà una società in cui il potere sarà tutto nelle mani dell’insieme sociale, una società, cioè, pienamente umana.