Dopo gli attentati di Londra e di Sharm el Sheik nessuno può più far finta di niente. La strategia usata finora per sconfiggere il terrorismo è fallita. Ammettere e accettare questo fallimento è l'unica strada per imboccarne un'altra più efficace. Imboccare un'altra strada significa, prima di tutto, guardare da un punto di vista diverso. Diverso da quello che hanno usato finora coloro che si sono autoproclamati difensori del mondo. Il punto di vista usato finora, è sostanzialmente quello usato in primis dall'amministrazione americana. Ad esso solo in pochi e sporadici casi si è opposto qualche governo europeo. Tale sguardo può essere sintetizzato in poche parole: noi siamo i buoni, noi siamo i difensori e i portatori della libertà e della civiltà; abbiamo quindi il diritto di usare qualsiasi mezzo per difenderci dagli attacchi che i terroristi sferrano al nostro stile di vita, alla nostra civiltà, alle nostre libertà. Questo, anche se spesso è stato criticato e anche ridicolizzato, è il punto di vista dominante.
Non solo terrorismo
Per cominciare a guardare le cose in un altro modo è necessario innanzitutto cominciare a considerare la spaventosa spirale di violenza che molti paesi stanno vivendo in questa calda estate dell'anno 2005, non come un prodotto generato unilateralmente dal terrorismo, ma come una spaventosa spirale tra guerra e terrorismo. La partecipazione di molti paesi europei alla prima Guerra del Golfo e all'occupazione di Afghanistan e Iraq, l'appoggio incondizionato alla politica egemonica degli USA e la consuetudine di utilizzare gli aiuti allo sviluppo per aumentare il proprio potere economico a scapito dei paesi che li ricevono, sono sicuramente altri fattori determinanti che rendono l'Europa un bersaglio dell'odio terroristico. Un ulteriore fattore aggravante è che l'ultima guerra in Iraq è una guerra che è stata scatenata sulla base di false motivazioni che tendono inequivocabilmente a coprire altri scopi. Ogni guerra ha sempre provocato un inasprimento della violenza. Perché non dovrebbe avere lo stesso effetto, se non maggiore, una guerra iniziata su false motivazioni e che ha violato sin dall'inizio ogni norma della legalità internazionale?
La trappola
Per continuare ad usare un punto di vista diverso è necessario stare attenti alla trappola semplicistica in cui tendono a far cadere gli eventi cruenti che stiamo vivendo: una catena di eventi che vedono intrecciarsi kamikaze e bombardieri, le stragi di uno e le stragi dell'altro. Di fronte a questo susseguirsi sempre più frequente di massacri, la lucidità tende ad abbassarsi e la mente a semplificare. Il risultato potrebbe essere il non vedere più ciò che si vuole nascondere: i conflitti tra interessi economici, la lotta per il petrolio, la crudeltà dell'economia di mercato, l'estrema miseria e le estreme ricchezze, i torti e le frustrazioni nazionali, le differenze a volte abissali tra valori e modi di vita diversi. Anche sulla base di questa tentazione semplificatrice, non scevra da meri calcoli elettoralistici, come oggi ci insegna in Italia una Lega Nord sempre più delirante, oggi l'Europa, esposta al terrorismo, si illude di potersi difendere inasprendo il controllo delle frontiere. È un'Europa sgomenta che, di fronte all'evidenza del fatto che la minaccia non viene più soltanto da lontano, ma si annida tra i suoi stessi abitanti, ricorre alle leggi speciali, aumentando il controllo poliziesco e limitando ulteriormente le libertà personali di chi già non ne aveva molte. In questo modo mostra di non voler risolvere il problema alla radice, di non voler ridiscutere in profondità il proprio rapporto, sostanzialmente violento, con i paesi in via di sviluppo.
La chiusura dell'Europa
Anche la memoria può venirci in soccorso per configurare un diverso punto di vista. E' necessario cioè ricordare che l'apparente e momentanea vittoria del modello liberal-democratico delle nostre società capitalistiche occidentali si è costituita - non solo ma anche - sulla base di un altissimo prezzo pagato dagli altri popoli in termini di violenza senza pari, con guerre, stragi e genocidi in tutto il mondo. Lo sviluppo del capitalismo occidentale è avvenuto a discapito dello sviluppo di tutte le altre parti del mondo. Una delle conseguenze più importanti di ciò è l'inarrestabile immigrazione nei paesi più ricchi di milioni di persone provenienti da queste parti del mondo rimaste indietro, sia in termini economici che di rispetto dei diritti fondamentali dell'essere umano. Di fronte a questa situazione ancora una volta la memoria potrebbe aiutare, associata ovviamente ad una capacità di pianificazione che potrebbe evitare almeno le difficoltà più grossolane. Ma i governi europei ispirati evidentemente da altri tipi di interessi, molto più egoistici, mettono in disparte queste facoltà prettamente umane, dando invece largo spazio ad un semplicistico pragmatismo, per il quale d'altronde non c'è neanche bisogno di chissà quali capacità intellettive. Gli esponenti di alcuni gruppi parlamentari, come ad esempio la Lega Nord, dimostrano infatti, quasi ogni giorno, come nei palazzi della politica italiana ed europea non siano attualmente richieste grandi capacità di questo tipo.
Di conseguenza dominano le difficoltà di inserimento che gli immigrati incontrano, l'ostilità verso la propria cultura che avvertono intorno a sé, il sospetto e le umiliazioni che subiscono. Questi sono alcuni dei fattori più rilevanti che favoriscono l'affermarsi dell'integralismo. I gruppi fondamentalisti trovano alimento ideale e sostegno pratico nelle condizioni di vita degli immigrati, nella reazione all'esclusione e allo sradicamento cui li sottopone la loro condizione di emarginati e di stranieri. Il loro successo cresce grazie al senso di fierezza, di fiducia, di appartenenza a un gruppo coeso che riescono a dare a chi, per anni, ha conosciuto disprezzo ed esclusione. I mass media esaltano, ripetendo in forma più o meno esplicita vuoti pregiudizi e banali luoghi comuni, il pericolo della minaccia integralista, identificando molto spesso tutto l'islamismo con i suoi aspetti più integralisti. Gli effetti di ciò non colpiscono solo gli spettatori che si identificano come le possibili vittime di questo integralismo, ma anche quelli che in esso vedono la possibilità del proprio riscatto dall'emarginazione. Quindi, mentre da un lato si ostacola la possibilità del dialogo, dall'altro si accendono i fanatismi.
Tutto ciò è soprattutto il frutto del fatto che l'Europa, di fronte all'immigrazione, reagisce con la chiusura e la xenofobia e insiste nel caparbio tentativo di imporre la propria cultura a coloro che arrivano da lontano portandone un'altra. Non sembra, in alcun modo, avviata verso la costruzione di una società multiculturale, aperta e rispettosa dei diritti e delle identità di tutti. Teme, forse, di perdere la propria identità, dimenticando che proprio essa è frutto delle molteplici contaminazioni culturali che si verificarono nell'area del Mediterraneo fino al Rinascimento. Persistendo in questo timore commette due errori.
Innanzitutto, oggi è impossibile mantenere inalterata la propria cultura, così come lo è fermare la mondializzazione in corso. Le migrazioni, le comunicazioni planetarie, finanche il turismo… tutto questo ha avuto come risultato la diffusione e lo scambio di oggetti e di elementi simbolici tra le differenti culture; ed esse sono state “toccate” anche dai valori, dai punti di vista, dalle credenze che quegli oggetti e segni portavano con sé. Il mondo non tornerà più come prima, si è ormai avviato un processo inarrestabile di compenetrazione tra le culture. Le resistenze a questa inesorabile trasformazione del mondo si esprimono come intolleranza, timore, xenofobia (lo stesso accade, specularmene, nei paesi in cui si nutre odio per l'Occidente). Ma esse sono soltanto resistenze, appunto. Non potranno fermare il processo storico che è in corso e che conduce alla nascita della prima civiltà planetaria della storia. In secondo luogo, come abbiamo già detto, tale modo di affrontare l'immigrazione genera le condizioni per lo sviluppo del fenomeno dell'integralismo e del terrorismo all'interno dello stesso territorio europeo.
Chi è terrorista?
Ma oltre alla memoria è necessario anche mantenere funzionante la capacità di critica di ciò che sembra già stabilito, in questo caso del significato che viene dato al fenomeno “terrorismo”. Un fenomeno relativamente recente nella storia umana. I primi atti esplicitamente terroristici sono compiuti nel secolo XIX da una frangia minoritaria del movimento anarchico russo, disconosciuti dallo stesso Bakunin. Dettati da un profondo nichilismo di fondo, questi atti, colpendo nella folla in modo inatteso e cruento, provocano il terrore tra la gente, risultando insopportabili proprio perché usano la vita di persone inermi come strumento per raggiungere scopi di cui sono ignari.
Il secolo XX è costellato da innumerevoli atti terroristici. Sono i cosiddetti anarchici individualisti, ancora una volta non riconosciuti dal movimento anarchico ufficiale, che nel 1921 mettono una bomba al Teatro Diana di Milano. Gli anni '60 e '70 sono caratterizzati dalle stragi fasciste, culminate con la strage alla stazione di Bologna, di cui quest'anno cade il venticinquesimo anniversario. I gruppi armati di sinistra, altrettanto violenti, cambiano tattica, uccidendo e gambizzando singoli esponenti dello Stato. E' così che negli anni '70 e '80 sembra che il terrorismo stia cambiando volto, distogliendo la propria attenzione dalle persone inermi e colpendo in modo mirato. Ma con gli attentati firmati da Al Queda sembra che il terrorismo sia ritornato alle sue origini stragiste. Di fronte a questi massacri del ventunesimo secolo è necessario mantenere il senso critico e cominciare a fare alcune osservazioni.
Quando gli esperti di turno fanno le loro analisi lo sguardo è rivolto sempre verso l'obiettivo dell'ultimo attentato e sulle modalità di esecuzione. E se invece si volgesse lo sguardo, con una rotazione del capo di 180 gradi, verso gli esecutori? Chi è in grado di provocare tali massacri? Chi è capace di uccidere in un sol colpo uomini, donne e bambini mentre stanno lavorando, stanno facendo la spesa, stanno festeggiando un matrimonio o stanno giocando nel cortile di casa? Solo il kamikaze di turno esaltato e drogato dal fondamentalismo religioso? No. Chi è capace di provocare tali massacri è anche, se non più spesso, lo Stato. Nonostante l'evidenza si esita sempre nel definire terrorista uno Stato che uccide in modo indiscriminato masse innocenti. E' proprio vero che un atto per essere definito terroristico deve sempre essere compiuto da un soggetto illegale e occulto? Ancora oggi la credenza dominante è che la massima istituzione, lo Stato, non ricorre mai al terrorismo, e quando vi ricorre non è mai terrorismo.
Eppure già a partire dalle due guerre mondiali il numero dei civili uccisi è di gran lunga superiore a quelli dei militari. Un procuratore americano, Telford Taylor, durante il processo di Norimberga dopo il 1945, si affrettava a dichiarare che i bombardamenti indiscriminati sulle città, sia tedeschi sia alleati, non potevano essere considerati crimini, essendo ormai diventati propri della guerra moderna, dunque "diritto consuetudinario". Era evidente l'intenzione di legalizzare così anche Hiroshima e Nagasaki e le future guerre nucleari. Purtroppo il sistema di regole sancito come base per la creazione delle Nazioni Unite era garantito da Stati in grado di difendersi e di attaccarsi l'un l'altro. Con la caduta di una delle due superpotenze l'occidente è regredito verso la tentazione di “esportare”, in modo a volte spudorato e fondamentalista, il proprio modello politico ed economico. A questo modello reagiscono altri fondamentalismi, i quali, nei casi in cui lo fanno con modalità terroristiche, usano principi e armi provenienti dal bagaglio del loro stesso nemico.
Nuove soluzioni
Infine il nuovo punto di vista che stiamo configurando può proiettare nuove soluzioni. Il terrorismo non si può combattere soltanto con misure repressive. Chi crede che con la violenza si possa mettere fine alla violenza, è ingenuo o in mala fede. Finora le guerre d'invasione in Afghanistan e in Iraq, l'inasprimento delle misure contro l'immigrazione cosiddetta clandestina, i rigurgiti di intolleranza xenofoba cui assistiamo nelle nostre città, non hanno raggiunto il loro scopo. Anzi, paradossalmente, hanno prodotto l'effetto contrario: i gruppi terroristici sono in aumento e sempre più giovani entrano a farne parte. Tra costoro vi sono anche persone insospettabili, come gli attentatori di Londra, nati e cresciuti in territorio inglese, “integrati”, come si credeva. Se l'Europa vuole difendersi, le misure repressive non servono; si devono trasformare alla radice le condizioni di violenza sociale in cui il terrorismo trova terreno per svilupparsi. Come abbiamo già detto, l'Europa non sembra in alcun modo avviata verso la costruzione di una società multiculturale, aperta e rispettosa dei diritti e delle identità di tutti.
Esistono differenti modelli di società multietnica, ma tutti mostrano gravi carenze
Il cosiddetto melting pot, il modello adottato negli Stati Uniti, si prefiggeva di giungere alla fusione di più culture, anche molto eterogenee, in una cultura nuova. Tale modello è fallito: non è nata una cultura nuova comune e quella originaria continua ad esercitare una totale egemonia sulle altre. La segregazione, per contro, ha costituito un modello di separazione tra le differenti culture presenti in uno stesso paese; anch'esso è, fortunatamente, fallito. Un altro modello, opposto al precedente ma altrettanto violento, è quello dell'assimilazione, in base al quale la cultura dominante cerca di assorbire le altre, cancellandole. Una variante moderata di questo modello è rappresentata dall'integrazione, che prevede forme di accoglienza e di tutela economica, civile e culturale delle nuove minoranze, riconosce loro il diritto alla propria cultura di origine ma punta, sostanzialmente, come dice lo stesso suo nome, a integrarle in quella egemone.
Vi è infine un altro modello, ancora non applicato ma auspicato da molti autentici progressisti, che prospetta una società in cui le differenti culture possano convivere su un piano di parità, si “contaminino” a vicenda ma mantengano, comunque, le proprie caratteristiche peculiari. Tale modello, “che prevede, oltre ad accoglienza e tutela, l'instaurazione di un ricco ed articolato rapporto dialogico e di reciproco interscambio tra le culture, al di fuori di ogni logica di separatezza, dominio, chiusura, subalternità, può apparire al limite dell'utopia, ma il nostro tempo, si crede, è appunto di utopia che ha estremo bisogno, ovverosia di un realismo audace che sappia e voglia oltrepassare gli orizzonti del dato e del conosciuto verso traguardi ancora inediti di civiltà”. Si tratta di un modello di società non solo e semplicemente multietnica, bensì multiculturale, in cui a ciascuno siano riconosciuti i diritti all'uguaglianza e alla differenza. Una società, cioè, che rifiuti qualsiasi forma di discriminazione e riconosca a tutti l'uguaglianza di diritti e di opportunità; ma anche che si astenga da ogni tentativo di assimilazione e, valorizzando la diversità, assicuri a ciascuno il diritto alla propria cultura d'origine.
Per una reale soluzione dell'emergenza che oggi ci troviamo a vivere c'è bisogno, subito, di:
- Ritirare immediatamente le truppe che invadono Iraq, Afghanistan, Cecenia e, d'ora in avanti, attenersi alle raccomandazioni e alle risoluzioni dell'ONU.
- Nelle singole nazioni, lavorare per far funzionare la legge e la giustizia per quanto imperfette siano, prima di inasprire leggi e misure repressive.
- Impostare una politica di aiuti allo sviluppo verso i paesi poveri, scevra di fini lucrativi.
- Abolire il trattato di Schengen e rivedere radicalmente l'atteggiamento nei confronti dell'immigrazione.
- Costruire un'Europa multiculturale, in cui a tutti i cittadini siano garantiti uguali diritti e pari opportunità.
- Mettere in discussione l'eurocentrismo culturale e aprire un autentico dialogo con il mondo islamico.