La legge finanziaria 2007 prevede lo stanziamento di 2 miliardi e 100 milioni di euro in più per le spese militari, di cui ben 1 miliardo e 700 milioni, previsti nell'articolo 113, saranno impiegati per nuovi armamenti. Un impegno militarista notevole per una coalizione che conta al suo interno importanti formazioni politiche che fino all'altro ieri si sono riempite la bocca con parole come pacifismo e antimilitarismo. Ma tale impegno non si ferma qui, in quanto sono previsti anche 1.550 milioni di euro per l'anno 2008 e 1.200 milioni di euro per l'anno 2009.
Per non parlare del fatto che al di là della finanziaria è stato previsto un ulteriore impegno di un miliardo di euro all'anno per le missioni militari all'estero, gli stessi soldi previsti dall'ultima finanziaria del governo precedente.
Infine non possiamo non considerare che in altri articoli della finanziaria sono previsti ulteriori investimenti per la cosiddetta Difesa. L'articolo 187 stanzia 400 milioni di euro per il 2007 e 500 per il 2008 e 2009 per il funzionamento dello strumento militare, mentre con l'articolo 110 si rifinanziano le attività già previste a favore del settore aeronautico e che ammontano a 100 milioni per il 2007, 110 per il 2008 e altri 100 per il 2009. Di fronte a queste spese militari, anche quelle dell'ultima finanziaria di Berlusconi impallidiscono, visto che l'anno scorso erano stati previsti, oltre al miliardo per le missioni all'estero, 477,88 milioni di euro in più per il Ministero delle Difesa, destinati alla professionalizzazione delle forze armate e ai nuovi sistemi d'arma, milioni che già di per sé rappresentavano un aumento del 2,5% rispetto alle spese militari previste per l'anno precedente. In un mondo che, per affrancarsi dalle rinnovate minacce nucleari, avrebbe bisogno di avviare un deciso processo di smilitarizzazione e di disarmo globale, ci sembra quanto meno fuori luogo spendere sempre più soldi per nuove armi.
Per quel che riguarda l'attacco allo stato sociale, paradigmatico è l'ennesimo intervento sulla Sanità, cioè a spese della salute dei cittadini. Mentre lo Stato, vale a dire la cittadinanza intera, regala più di 3 miliardi di euro alla Difesa per costruire altre armi e finanziare le missioni all'estero, il sistema sanitario italiano dovrà funzionare con 97 miliardi di euro, cioè 3 miliardi di euro in meno del previsto. Per questo verranno, tra l'altro, introdotti dei ticket in cifra fissa (23 euro per le visite e 18 per gli esami clinici) nei casi di chi si reca al pronto soccorso in "codice bianco", cioè senza palese urgenza.
A questo punto sorge spontanea una domanda: se il cittadino che si reca al pronto soccorso fosse in grado sapere che il problema di cui soffre, e per il quale si è recato al pronto soccorso, non costituisce un urgenza, perché dovrebbe rivolgersi al servizio di emergenza? Se la persona fosse in grado di fare questa valutazione, potrebbe tranquillamente aspettare e andare dal medico di famiglia. Ci si aspetterebbe un po' più di rispetto da parte di coloro che dovrebbero rappresentare i cittadini in parlamento e nel governo, tenendo conto della preoccupazione e dell'ansia che coglie una persona quando decide di rivolgersi ad un pronto soccorso e non dando per scontato che invece ci si reca in ospedale con eccessiva "leggerezza".
Per spendere meno e avere una sanità migliore, l'unico modo è quello di investire nella sanità territoriale, incentivando tutti i servizi più vicini al cittadino, il quale sarebbe progressivamente portato ad affidarsi al medico o all'ambulatorio più vicino, invece di recarsi al pronto soccorso e attendere varie ore prima che qualcuno si prenda cura di lui. Invece, nel modo prospettato dall'attuale politica, sensibile solo agli interessi delle multinazionali farmaceutiche e delle poche famiglie che gestiscono centinaia di cliniche e servizi sanitari privati, si procede all'incontrario: si investe meno nella sanità pubblica e si colpiscono gli enti locali che spendono più di quello che arbitrariamente si è deciso debba essere il tetto massimo di spesa sanitaria. Il quadro si fa più chiaro se poi si tiene conto del fatto che dietro questi tagli si nasconde l'intenzione di introdurre i fondi sanitari privati – cioè le assicurazioni – prendendo ad esempio ancora una volta gli Usa, un luogo che sarà anche molto moderno e civile, ma dove però c'è un piccolo inconveniente: chi non ha soldi sufficienti non è curato bene o non è curato affatto.
A proposito degli enti locali, quella a cui abbiamo assistito è una vera e propria farsa. Il primo annuncio parlava di una riduzione dei finanziamenti da parte dello Stato di 4,6 miliardi di euro. Immediata è stata la protesta, capitanata proprio dai sindaci delle città rette da giunte di centrosinistra, e nel giro di poche ore, dopo un solo incontro, i tagli sono diminuiti di 600 milioni. E così, mentre viene pubblicizzata su tutte le testate giornalistiche la grande soddisfazione dei sindaci, la manovra mantiene ben 4 miliardi di tagli nei confronti degli enti locali, con tutte le sue conseguenze in termini di decadimento dei servizi e aumento della tassazione, che colpirà in maniera indiscriminata tutti i cittadini a prescindere dall'entità del loro reddito, rivelandosi, in proporzione, maggiormente gravoso per coloro che hanno scarsa disponibilità finanziaria e non possono oltretutto permettersi a livello sanitario e scolastico l'alternativa privata.
Diventa particolarmente difficile la situazione dei sempre più numerosi lavoratori precari. L'ultima volta che abbiamo sentito parlare di eliminazione del precariato è stata durante la campagna elettorale. Rimangono in piedi, infatti, sia la legge Treu che la legge 30. Secondo l'Istat ormai un quarto dei lavoratori sono atipici. La metà dei neoassunti, nel periodo 1993-2003 è precaria. In città come Milano, secondo il Censis, 81 lavoratori su mille sono precari, a Roma sono 62 su 1000.
I due terzi dei precari non ha mai avuto un contratto stabile; e non va meglio per i precari altamente scolarizzati: l'83% dei precari con laurea ha avuto solo contratti atipici, il 56% per chi ha un master. Per molti non si vede alcuna possibilità di vedere stabilizzata la propria condizione lavorativa: il 60% dei precari lavora con la stessa azienda da più di un anno. Il 20% da più di 3 anni, metà dei quali ha addirittura un'esperienza professionale di più di 10 anni; quindi il precariato è permanente. Il 75% dei precari guadagna meno di 1000 euro al mese e solo il 70% viene pagato ogni mese. Un terzo viene pagato ogni 2-3 mesi o alla fine del "progetto". La stragrande maggioranza (il 71%) non è in grado di stipulare un mutuo/casa. Solo il 6,5 % ha figli. Solo il 10% è sposato o convive. La maggioranza dei precari lamenta la difficoltà a stipulare un contratto di affitto e la maggioranza deve convivere con i genitori.
Di fronte a questa situazione, troppo spesso ai limiti della decenza, da un governo che dichiara nel proprio programma l'abbattimento del precariato ci si aspettava molto di più. Invece, non solo non si mettono in discussione i provvedimenti legislativi che hanno favorito il dilagare dei contratti più atipici, ma non si fa niente di veramente concreto. Le possibilità concrete di assunzioni sono limitate ad una spesa che non può superare il 20% delle disponibilità. Di fatto, questa forte costrizione si traduce in una ridicola stabilizzazione del precariato nella pubblica amministrazione. In particolare per la scuola, è vero che sono state promesse 100.000 assunzioni in ruolo - 80.000 docenti e 20.000 Ata (Ausiliari tecnici amministrativi, cioè assistenti amministrativi, tecnici di laboratorio e collaboratori ausiliari) - nei prossimi tre anni, ma le immissioni in ruolo, che comunque coprirebbero a mala pena i posti liberatisi grazie ai pensionamenti, sono vincolate ad una verifica annuale. Ricordiamo che i precari della scuola sono oltre 200.000, più di 130.000 docenti e più di 70.000 Ata, e che l'incremento medio di 0,4 alunni per classe nel prossimo anno scolastico comporterà, da solo, la perdita di più di 15.000 posti di lavoro per i docenti, in quanto verranno tagliate 7.500 classi.
Per il resto non c'è molto da rallegrarsi:
- Mentre la discussione sulle pensioni è stata solo rimandata, sapendo però che Governo e Cgil-Cisl-Uil si sono già accordati che taglieranno le pensioni a marzo, da subito salta una finestra per andare in pensione.
- Solo le famiglie numerose e monoreddito ricevono qualche spicciolo, mentre chi ha un reddito tra i 15.001 e i 26.000 euro si è visto innalzare l'aliquota irpef dal 23% al 27%. Più precisamente chi percepisce un reddito annuo lordo di 21.500 euro, con stipendio di 1.468 al mese, beneficia di 61 euro netti al mese; ad un reddito annuo lordo di 25.000 euro, con stipendio di 1.651 euro al mese, corrisponde un beneficio di 52 euro netti al mese; ad un reddito annuo lordo di 28.000 euro, con stipendio 1.807, il beneficio è di 43 euro netti al mese.
- In compenso chi ha un reddito superiore ai 150 mila euro dovrà pagare, ogni mese, la "stratosferica cifra" di 100 euro in più di tasse. E dire che c'è stato qualcuno che ha avuto il coraggio di affermare che con questa finanziaria il governo ha levato ai ricchi per dare ai poveri.
- Gli stanziamenti per i rinnovi contrattuali (90 euro per gli anni 2006, 2007 e 2008) sono fortemente al di sotto di quelli finanziati dal precedente governo di centrodestra (103 per il 2004 e 2005).
- La proclamata lotta alla rendita è scomparsa: il governo non si azzarda a toccare il grande capitale, quel 10% delle famiglie che possiede il 43% della ricchezza netta totale del paese.
Il Partito Umanista è fortemente critico rispetto all'attuale Legge Finanziaria che, purtroppo, non dà alcun segno di discontinuità rispetto al governo di centrodestra che l'ha preceduto. Quella che era stata sbandierata come "alternativa di sinistra", purtroppo si sta rivelando più simile ad una "destra alternativa", che non convince per nulla e che non chiarisce dove stiano le sostanziali differenze di governo, anzi sembra continuare a produrre solo tanto fumo. Fumo negli occhi.