Il 24 ottobre scorso è cominciato l'iter del referendum bipartisan sulla legge elettorale, che punta a modificare il sistema elettorale lasciato in eredità dalla Cdl al termine della scorsa legislatura. I quesiti che saranno depositati, e sui quali dovranno essere raccolte le firme, prevedono:
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Il referendum abrogativo – proposto dal costituzionalista Guzzetta e nel cui comitato promotore compaiono esponenti politici come Segni, Realacci, il governatore della Regione Campania Bassolino e il deputato dell'Ulivo Boffa - può solo eliminare alcuni elementi della legge sottoposta al voto, ma non può cambiarne l'impianto di base, che rimane quello di un sistema proporzionale con premio di maggioranza. Non possono far ritornare il sistema maggioritario con i collegi uninominali – non certo migliore a nostro parere – e quindi devono usare il bisturi". Per cui, per ovviare ad esempio alla scomparsa dei collegi uninominali, si propone il divieto di candidarsi in più circoscrizioni. Della legge attualmente in vigore, se il referendum superasse il quorum, resterebbero comunque in piedi: l'indicazione del capo della forza politica che, conquistando il premio, diventerebbe presidente del Consiglio; l'enunciazione del programma elettorale; le soglie di sbarramento; il diritto delle liste minori che superino il 4 per cento di entrare alla Camera ed esercitarvi il "diritto di tribuna".
Il Partito Umanista è fortemente critico nei confronti di questa proposta, che, a nostro avviso, non cambia assolutamente niente rispetto ai criteri che avevano fatto da presupposto alla legge proposta dal precedente governo, poi rivelatasi, come la definirono alcuni esponenti della stessa destra, "una porcata".
Le aspettative che aveva creato l'attuale maggioranza vengono per l'ennesima volta tradite da una proposta che vorrebbe, negli intenti dichiarati, porre rimedio ad una legge elettorale assurda, ma che invece aggrava, per alcuni aspetti, le storture che aveva creato.
Vediamo perché. Con l'intento di ridurre drasticamente la frammentazione partitica, si continua a percorrere la stessa strada: innalzare la soglia di sbarramento (del 4 per cento alla Camera e dell'8 per cento al Senato). Ma pur seguendo questa linea di pensiero – assolutamente delirante a nostro avviso - si evince una semplice contraddizione nel continuare a consentire la formazione di coalizioni elettorali, perché le coalizioni vanificano lo sbarramento, di qualunque entità esso sia.
Con l'intenzione di incentivare l'aggregazione dei piccoli partiti in un grande partito in grado di vincere il premio di maggioranza, uno dei quesiti referendari propone che tale premio spetti soltanto al primo partito vincitore. Ciò comporta un grave rischio per la democrazia, in quanto un partito di maggioranza relativa potrebbe vincere in entrambe le Camere e conseguire il premio senza aggregarsi con nessuno. In tal modo avrebbe da solo, a dispetto della percentuale di voto realmente ricevuta, la maggioranza assoluta di seggi, il che prefigura un inedito strapotere, poco raccomandabile per un paese che vuole continuare ad essere democratico e che, anzi, dovrebbe migliorare le proprie leggi per aumentare il livello di democrazia e partecipazione dei cittadini.
Tutti i tentativi di modifica della legge elettorale, fatti a partire dai referendum Segni del 1991 e del 1993, hanno avuto sempre gli stessi obiettivi, che puntualmente non sono stati raggiunti. Non è stato raggiunto l'obiettivo secondo il quale i partiti, costretti in coalizioni per conquistare il premio, sarebbero stati risucchiati da queste. Non è stato raggiunto l'obiettivo secondo il quale tutto il sistema politico avrebbe subìto un processo di moderazione, in quanto da destra e da sinistra si sarebbe fatto ogni sforzo per convergere sull'elettorato moderato. Non è stato raggiunto l'obiettivo secondo il quale, per conquistare gli elettori incerti, i partiti avrebbero presentato nei collegi – e poi nelle liste, come prevede la legge attuale - gli uomini migliori. Abbiamo invece assistito spesso a mediocrità e cieche obbedienze, segni di una classe parlamentare ridicola e ignorante.
Sono ben 15 anni che si tenta di ingabbiare il sistema politico italiano all'interno di preconcetti presi in prestito da una presunta superiorità democratica dei sistemi di stampo anglosassone (maggioritario secco), francese (maggioritario a doppio turno) o tedesco (proporzionale con soglia di sbarramento). Si tenta di obbligare le forze politiche all'interno di coalizioni che poi, prima o poi, si sciolgono, senza che nessuno mai abbia fatto la semplice deduzione che proprio questo tipo di forzature determina lo scioglimento di coalizioni obbligate.
Se coalizione ci deve essere, questa si dovrebbe basare su un'affinità ideologica e su un accordo sugli obiettivi da raggiungere. Ma ciò non è possibile, evidentemente, perché la maggioranza dei partiti che oggi siedono in Parlamento, non solo non ha più un'ideologia, ma non ha neanche un obiettivo che vada al di là di ciò che pragmaticamente impone la congiuntura. Questo punto di vista, meramente pragmatico, si ripropone in questo ennesimo tentativo di cambiamento della legge elettorale. Così come la maggioranza di centrodestra aveva approvato la legge elettorale attuale con l'intento di forzare l'assetto istituzionale al fine di vincere le elezioni, così, oggi, buona parte della maggioranza di centrosinistra (con il silenzio-assenso dei partiti maggiori di centrodestra) prova a cambiare la legge per favorire la costituzione della nuova chimera di Fassino, Rutelli & company, il partito democratico, nella speranza che si verifichi la concomitante trasformazione di un barcollante sistema bipolare in un sistema bipartitico.
Tutto questo non fa bene alla democrazia.
Secondo il Partito Umanista, la legge elettorale attuale va semplicemente abolita e proposto un sistema proporzionale senza sbarramenti. La democrazia è strettamente legata alla partecipazione attiva dei cittadini, salvaguardata solo se si aumenta il grado di rappresentatività. Tale rappresentatività è garantita solo da un sistema elettorale proporzionale, senza alcun sbarramento, in modo tale che tutti possano avere i loro rappresentanti in Parlamento. La direzione verso cui invece si sta andando è il segno evidente della paura che la politica di palazzo e gli interessi che all'ombra di essa si consumano, possano essere spazzati via da un popolo realmente rappresentato.