La posizione del Partito Umanista sul tema delle unioni di fatto è già stata espressa molte volte. Proprio in base a tale posizione, riteniamo che il testo di legge che potrebbe essere varato dal Parlamento, è solo una versione "light" di ciò che molti cittadini si sarebbero aspettati da questo governo. Nel programma presentato dal centrosinistra in campagna elettorale, checché ne dica il ministro Mastella, si legge: "L'Unione proporrà il riconoscimento giuridico di diritti, prerogative e facoltà alle persone che fanno parte delle unioni di fatto. Al fine di definire natura e qualità di un'unione di fatto, non è dirimente il genere dei conviventi né il loro orientamento sessuale. Va considerato piuttosto, quale criterio qualificante, il sistema di relazioni (sentimentali, assistenziali e di solidarietà), la loro stabilità e volontarietà".

Sta di fatto che il disegno di legge governativo non prevede l'istituzione di un registro delle unioni civili, ma una semplice certificazione: in pratica, le coppie possono andare in Comune ad autocertificare la propria esistenza, ottenendone in cambio una sorta di attestato, che permette di condividere alcuni diritti: ad esempio, l'assistenza sanitaria e previdenziale e la successione nel contratto di locazione. Si tratta, è vero, di un riconoscimento giuridico di diritti, prerogative e facoltà alle persone che fanno parte delle unioni di fatto, ma rappresenta solo un "accertamento", non un riconoscimento delle unioni di fatto.

Ma al di là di ciò che il Parlamento riuscirà a partorire, se ci riuscirà, ci vogliamo soffermare sull'atteggiamento assunto dai vertici ecclesiastici, i quali stanno ergendo delle vere e proprie barricate contro qualsiasi legge che prenda in considerazione coppie di tipo diverso da quello tradizionale tra un uomo e una donna. Non mancano i toni terroristici - che così bene hanno funzionato in occasione del referendum sulla fecondazione assistita - paventando una "concorrenza" tra il modello della famiglia monogamica e altri modelli. Perché "concorrenza"? Perché c'è il timore dichiarato che questi modelli diversi possano scardinare i valori che la Chiesa presenta ai giovani. Domanda: sono così deboli questi valori? Evidentemente sì, visto che questi valori hanno bisogno dell'assenza o della presenza di una legge per poter continuare indisturbati ad essere divulgati. Contrariamente ai vertici ecclesiastici, noi crediamo che i cristiani non hanno nulla da temere, in quanto tutti i valori dell'etica cristiana che si basano sull'essere umano e sulla sua felicità troveranno sempre posto nel cuore di milioni di persone, indipendentemente dal sistema legislativo vigente.
 
Ma non basta: ci sarebbe anche la possibilità, secondo la segreteria dell'episcopato, che una legge sulle unioni di fatto possa aprire alle coppie gay, il che cambierebbe, addirittura, l'attuale morfologia sociale. Domanda: perché tanto timore che venga cambiata questa morfologia? Da quando esiste l'aggregazione degli esseri umani in una forma sociale i cambiamenti sono avvenuti sempre. Lo stesso avvento del cristianesimo ha determinato cambiamenti sostanziali nella morfologia sociale. Perché, quindi, fermare questi cambiamenti? Inoltre ci vuole ben altro per determinare un cambiamento della morfologia sociale e non sarà certo una legge sulle unioni di fatto a svolgere questo arduo compito.

Infine vanno fatte ancora alcune considerazioni. Il 26 gennaio scorso su L'Avvenire, organo ufficiale della Cei, leggiamo: "I vescovi hanno, dal canto loro, alzato la voce, ma sono le nostre famiglie, la società civile che si riconosce nei valori dell'umanesimo cristiano a dover far diga".

Sarebbe interessante sapere quante famiglie, tra quelle che si dichiarano cristiane, siano veramente consapevoli di riconoscersi nell'umanesimo cristiano, cioè in quella corrente di pensiero il cui iniziatore fu Jacques Maritain all'inizio del secolo scorso. Probabilmente queste famiglie così consapevoli sono effettivamente poche e ancora più probabilmente non converrebbe neanche alla Chiesa che aumenti il loro numero. Questo perché la corrente che prende il nome di umanesimo cristiano, nello scagliarsi contro la crisi di valori e il vuoto esistenziale, fa un balzo indietro di centinaia di anni, fino al Medioevo. Ma è proprio nel cristianesimo medievale che possono ritrovarsi le radici di ciò che Maritain criticava così aspramente.

Si legge infatti in "Interpretazione storiche dell'Umanesimo" di Salvatore Puledda: "[...] La tendenza al dualismo e al dogmatismo, il senso di colpa, il rifiuto del corpo e del sesso, la svalutazione della donna, la paura della morte e dell'inferno, sono tutti residui del Cristianesimo medievale che, anche dopo il Rinascimento, hanno influito pesantemente sul pensiero occidentale". I vertici ecclesiastici usano quasi gli stessi termini di Maritain, il quale definiva la dialettica dominante nella società in cui viveva come "distruttiva", proprio come fanno i vescovi di oggi quando parlano di "concorrenza" tra modelli diversi e di "distruzione di valori". Ma questa dialettica va spiegata, come scrive molto più lucidamente Salvatore Puledda, come un tentativo "di liberarsi della visione medievale e non come il castigo per la perdita dei valori cristiani".

Saremmo tentati, a questo punto, di consigliare a chi, in politica come nella società, vuole alzare barricate contro le richieste di liberazione dai tanti residui medievali che ancora agiscono nel 21° secolo, di stare attenti alle parole che usano, perché queste si potrebbero ritorcere contro di loro.
Ma probabilmente non ne avremo il tempo, impegnati come siamo, in quanto umanisti, a lottare contro i tentativi anti-umanisti, travestiti di un ridicolo "umanesimo teocentrico", di imbastire guerre di religione e inquisizioni.

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