La guerra nucleare sta diventando, insieme alla catastrofe ecologica, il maggior pericolo che incombe su tutti gli esseri umani. L'area mediorientale è la zona più gravida di nefaste conseguenze per tutto il mondo, se in essa si accendesse una semplice scintilla. Israele detiene duecento testate nucleari e, come India e Pakistan, non ha aderito al TNP. Inoltre, non dimenticando l'incognita Iran, in Iraq e in Afghanistan sono militarmente impegnate le due superpotenze Usa e Regno Unito, mentre in Cecenia è impegnata un'altra superpotenza, la Russia.

Se si allarga la visuale e si considera anche l'area immediatamente confinante con il medioriente, in questa zona si concentrano inoltre molte dispute, come tra il Pakistan e l'India a proposito del Kashmir e i timori della Turchia a proposito del Kurdistan iracheno, senza contare i conflitti crescenti per il controllo dell'acqua dolce e del vasto triangolo formato dal Golfo, l'Iran e il mar Nero, dove esiste una delle principali riserve di idrocarburi. Si aggiungono inoltre altri conflitti: Kashmir, Caucaso, Somalia, Darfur. Insomma, in questa area è concentrato il potenziale bellico più distruttivo di tutti i tempi. Ma attenzione: mentre prima delle bombe di Hiroshima e Nagasaki l'arsenale a disposizione poteva distruggere una nazione, ora la deflagrazione che conseguirebbe all'accensione della scintilla determinerebbe la distruzione del mondo.

Eppure dovrebbe essere evidente, ormai, che la sicurezza degli uni non si costruisce contro quella degli altri. La vera sicurezza non può che essere una sicurezza collettiva. I rischi e le minacce devono essere definiti, insieme agli strumenti per porvi rimedio, in modo tale che soddisfino tutti e non solo alcuni stati ricchi, privilegiati e dotati dell'arma atomica. L'Onu potrebbe essere l'istituzione giusta per spingere in tale direzione ma, pur essendo indispensabile, è stata resa, al tempo stesso, impotente.

Abbiamo visto come tutti i governi hanno rinnegato, anche a distanza di poche ore, tutte le migliori intenzioni dichiarate, cadendo nella trappola dei propri egoistici interessi e della voglia di vendetta.

Il Trattato di Non Proliferazione non è in grado, evidentemente, di garantire un futuro libero dalla minaccia di una distruzione planetaria. Sembra necessario un nuovo accordo, non più basato sulla legge del più forte, così come in realtà è stato concepito il TNP. Nessun essere umano, in qualsiasi angolo della Terra, vorrebbe la distruzione di se stesso e della propria casa. Quindi, se è vero questo, è anche vero che tutta la popolazione umana non vuole né la sua distruzione, né quella della sua casa, cioè della Terra.

Perché allora continuare a vivere la profonda contraddizione tra tale aspirazione ed il fatto che oggi esiste un numero di testate nucleari tale da distruggere la Terra, non un volta, ma per ben trenta volte?

La non proliferazione, d'altronde, contiene nella sua stessa definizione un vizio: mentre si dice che le bombe nucleari non devono aumentare, nello stesso tempo si accetta che le bombe già esistenti debbano continuare ad esistere.

Il trattato, quindi, nasce già in nome della contraddizione e, si sa, se non si fa attenzione, una azione contraddittoria se ne tira appresso un'altra e così via. In altre parole, il TNP conteneva in sé già i germi della proliferazione di ordigni nucleari, che poi si è verificata e continua a verificarsi.

C'è bisogno, dicevamo, di un nuovo accordo, che non contenga, ben nascosti, gli stessi germi. Un accordo che si basi, prima di tutto, sulla convinzione che l'unico modo per scongiurare l'autodistruzione è quello di puntare finalmente gli occhi verso il futuro.

Un accordo che si basi, quindi, sul superamento di un passato foriero solo di risentimenti che, con la voglia di vendetta a cui sono spesso associati, spingono a proseguire su una strada lastricata solo di continue contraddizioni. Un accordo che prima di essere un trattato, deve essere un impegno. Un impegno ad evitare qualsiasi guerra, anche perché, oggi più che mai, cominciare un conflitto bellico contro un altro significherebbe entrare in guerra con se stessi. Un impegno a riconoscere che se il mondo è ancora dilaniato da tante guerre, questo è il risultato di una serie interminabile di contraddizioni. E se ci fosse ancora qualche dubbio si ciò che qui si afferma, basterebbe osservare le innumerevoli sofferenze che da tali contraddizioni sono scaturite. Ma una volta riconosciuta la direzione sbagliata finora intrapresa, non servono inutili dichiarazioni d'intenti.

Ciò che veramente è necessario è cominciare una nuova costruzione, usando materiali di unità, anziché di contraddizione, il che vuol dire superare la contraddizione ed essere finalmente coerenti con la volontà di pace tanto spesso dichiarata, ma finora sempre disattesa. Siccome stiamo parlando del futuro del genere umano, c'è bisogno di un impegno comune, un accordo tra tutti i paesi del mondo.
 
Un nuovo trattato quindi, questa volta di non contraddizione, perché solo mediante il susseguirsi di una virtuosa serie di atti unitivi, possiamo passare dalla preistoria alla storia. Solo così potremo finalmente vivere in un mondo senza guerre.

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