Il Trattato di Non Proliferazione presenta indubbiamente delle condizioni di origine assolutamente criticabili. Ma dopo il crollo dell'impero sovietico le critiche si moltiplicano. Già erroneo sin dall'inizio, un sistema che permette a cinque paesi di possedere le armi più potenti e che proibisce agli altri di procurasene, diventa oggi non più sopportabile. Come si fa a non considerare il fatto che gli arsenali così eccezionalmente dotati di questi cinque paesi incoraggino gli altri paesi a procurarsene di uguali proporzioni? Come si può pensare di andare avanti trascinandosi ancora il peso della grande ipocrisia rappresentata dal fatto che questi cinque paesi continuano ad ignorare le disposizioni per il disarmo nucleare contenute nel trattato?
Oltre che dalle contraddittorie condizioni di origine del Trattato di non proliferazione, la possibile politica di disarmo che in quel trattato veniva, anche se solo formalmente, auspicata, viene ulteriormente indebolita, prima di tutto, dal rifiuto da parte degli Stati Uniti di prendere in considerazione la possibilità di fermare la proliferazione delle armi. La fine della guerra fredda appare immediatamente come l'occasione giusta per rimettere in discussione l'esigenza di alleggerire il pianeta del carico di armi che grava sulla sua superficie. Infatti, mentre i più ottusi neoconservatori americani sembrano particolarmente allergici a qualsiasi idea che ipotizzi il rispetto da parte del loro glorioso paese di qualsiasi obbligo internazionale, anche molti esponenti della parte democratica non dimostrano maggiore intelligenza e lungimiranza, teorizzando che la non proliferazione non ha più ragion d'essere, in quanto fa parte della vecchia logica di una guerra fredda ormai finita.
A questa teoria si affiancano altre teorie non meno demenziali: una di queste asserisce che se la proliferazione di armi nucleari viene portata avanti solo da paesi alleati degli Usa, non c'è proprio nulla da temere. Dietro queste assurde teorie c'è ovviamente chi guadagna miliardi di dollari a palate, in quanto, se la risposta alle minacce di diffusione delle armi non sta nel disarmo, risiede allora nella costruzione di difese antimissili. Difese che ovviamente gli altri paesi dovrebbero acquistare dai paesi occidentali, Stati Uniti in primis.
Con questi presupposti, la conferenza di revisione del trattato di non proliferazione del giugno 2005 non poteva che concludersi con un nulla di fatto: non c'è stata neanche la manifestazione di una formale condanna di chi inganna il trattato. Forse perché chi doveva condannare era anche l'oggetto della condanna? Se questa è la contraddizione di fondo, fin quando si continua a rimandare il momento in cui affrontare tale contraddizione, il mondo è condannato a rimanere diviso e disorientato.
Le potenze occidentali puntano, in modo sempre più esplicito, alla contro-proliferazione, per garantire una sicurezza che si riassume nella protezione del loro predominio tecnologico, militare e strategico.