Nel 1993 parte, negli Stati Uniti, un imponente processo di concentrazione nel settore degli armamenti. Questo processo viene lasciato interamente nelle mani degli azionisti e delle istituzioni che compongono il capitale finanziario, cioè fondi mutualistici, fondi pensione, ecc.. Si registra una battuta d'arresto solo nel 1998, quando il dipartimento di giustizia ha dato parere sfavorevole al progetto di acquisizione di Northrop Grumman da parte di Lockheed-Martin, per un importo di 8,3 miliardi di dollari.
Ma dal 2001 le fusioni ripartono alla grande: la Northrop Grumman acquista Newport News Building e Trw; L-3 Communications compra Titan; General Dynamics incorpora Anteon. Saranno soprattutto gli attentati dell'11 settembre 2001, ad offrire una nuova, inaspettata occasione. Il 17 settembre 2001, primo giorno di riapertura di Wall Street dopo gli attentati, i titoli del settore registravano guadagni tra il 15 e il 30%. Alcune società assumono una posizione pressoché monopolistica, rafforzandosi nella loro capacità di influenzare i poteri pubblici e contribuendo, quindi, alla militarizzazione della politica estera degli Stati Uniti.
Contemporaneamente, in Europa, sembra che si esprimi un'inaspettata avanzata nella volontà di portare avanti la costruzione comunitaria. Dalla firma del trattato di Nizza, all'entrata in vigore dell'Euro, è tutto un gran pullulare di iniziative. Ad uno sguardo più attento appare evidente, però, che non è la costruzione comunitaria il vero motivo di tale attivismo, ma il nuovo contesto di terrore ed euforia finanziaria: solo così si può spiegare la repentina crescita in importanza delle questioni militari negli interessi dell'Unione Europea. Ormai sono lontani i tempi in cui la produzione di armi era per lo più affidata ad arsenali e imprese di stato. Già dalla metà degli anni '90 prende corpo una strategia diversa, basata su una politica di privatizzazione e sulla priorità data ai mercati. Gli obiettivi sono chiari: competitività dell'industria degli armamenti, apertura dei mercati e facilitazione delle esportazioni di armi. Sono gli obiettivi che rispondono fedelmente agli interessi delle lobby di Bruxelles, ben decise a far prevalere i propri interessi minacciati dai sostenitori di un'Europa pacifica.
Si arriva così al 12 luglio 2004, data in cui viene costituita l'Agenzia europea di difesa (Aed), con lo scopo di favorire la realizzazione di un mercato europeo concorrenziale per gli armamenti. Il 21 novembre 2005, inoltre, i ministri della difesa adottano un codice di condotta, non vincolante, che punta a liberalizzare i mercati degli armamenti. La liberalizzazione ha sempre comportato, in realtà, la concentrazione, e quindi tre gruppi europei figurano ormai tra i primi dieci produttori mondiali di armi: Bae Systems (Regno Unito), European Aeronautics Defense and Space (Eads, Paesi Bassi) e Thales (Francia). Contrassegno inevitabile di un tale significativo ridimensionamento della presenza dello stato, è la perdita dei posti di lavoro, che sono diminuiti del 40%. I primi due produttori europei di armi, Francia e Regno Unito, hanno perso, da soli, più di duecentomila posti di lavoro dal 1991 al 2000.
Ma non finisce qui, perché si verificano ingenti trasferimenti di proprietà verso investitori istituzionali o gruppi industriali americani. General Dynamics acquista l'austriaca Steyr-Daimler-Puch Spezialfahrzeug e la spagnola Santa Barbara; il gruppo Carlyle ha proceduto all'acquisto dell'italiana Fiat-Avio, oltre che del 30% della britannica Qinetiq; Kohlberg Kravis Roberts ha fagocitato la tedesca Mtu Aero Engine.
Sotto la scure della finanza e delle esigenze di redditività degli azionisti, l'industria degli armamenti diventa la vera locomotiva della "Politica europea di sicurezza e difesa", sancita all'interno del trattato di Nizza, firmato nel dicembre del 2000. Prende forma, quindi, una strana configurazione per quanto riguarda la produzione di armi nell'Unione Europea. L'economista americano John Kenneth Galbraith (Il nuovo stato industriale, Einaudi, 1968) la chiama "filiera capovolta". Una filiera classica presuppone che le commesse vadano dal consumatore al mercato, poi dal mercato al produttore. Nella filiera capovolta, "è l'impresa di produzione che allunga i tentacoli per controllare i propri mercati, o meglio, per guidare il comportamento di mercato e modellare i comportamenti sociali di coloro che all'apparenza essa sembra servire".
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: militarizzazione dell'Europa e aumento dei bilanci nazionali per la difesa. Mentre i contribuenti pensano di partecipare, con il loro lavoro, alla realizzazione di un mondo più pacifico, la logica di mercato e i danni provocati dalla globalizzazione, hanno permesso l'estensione del sistema industriale militare e di sicurezza. In tal modo, distorta da una logica finanziaria a breve termine, la "Politica europea di sicurezza e difesa" non favorisce l'affermazione politica dell'Unione europea, ma al contrario, porta in sé i germi di un suo indebolimento.