Dopo i test balistici nordcoreani del 5 luglio, il nuovo primo ministro del Giappone, Shinzo Abe, ha preteso e ottenuto, il 19 settembre 2006, nuove sanzioni contro Pyongyang. Ha annunciato l'intenzione di modificare, con un referendum, l'articolo 9 della Costituzione pacifista nipponica, il quale dichiara che il Giappone "rinuncia per sempre alla guerra, abolisce le proprie forze armate e s'impegna a non ricostituirle mai più". L'obiettivo sarebbe quello di consentire la trasformazione delle forze di autodifesa in forze armate a tutti gli effetti, senza più i limiti imposti dai vincitori nel 1945.
Ancora una volta c'è lo zampino degli Stati Uniti, in particolare del presidente Bush, il quale, atteggiandosi a grande giocatore di Risiko, vorrebbe disporre nel Nordest asiatico di un alleato militarmente potente per contenere la Cina. Quale migliore occasione, avrà pensato l'inquilino della Casa Bianca, di un primo ministro descritto dalla sinistra nipponica come un politico ultraliberista, arciconservatore e nazionalista? Un primo ministro che non esita a scagliarsi contro chi guarda con masochismo alla storia del Giappone, minimizzando le responsabilità di un paese che, tra l'altro, non ha mai chiesto ufficialmente perdono per i crimini di guerra commessi in particolare in Corea e in Cina.
Ora si da il caso che il Giappone è già al secondo posto mondiale, dopo gli Usa, per spese militari. Nonostante il primo ministro abbia dichiarato che il suo paese non intende dotarsi di armi atomiche – ma solo perché già protetto dall'ombrello nucleare americano – non si può non tener conto del fatto il Giappone dispone di almeno 50 tonnellate di plutonio, prodotto dai suoi reattori civili, e potrebbe fabbricare un ordigno nucleare in pochi mesi.