La Russia e la Cina riconoscono che gli iraniani devono fare uno sforzo per creare un clima di fiducia, ma difendono il diritto di Tehran a disporre dell'energia nucleare civile. La loro solidarietà con l'Iran è stata ribadita nel recente Vertice dell'Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (Ocs).
Per quel che riguarda l'atteggiamento ambiguo degli Usa, nonostante le minacciose dichiarazioni tanto roboanti quanto farsesche provenienti dalla Casa Bianca, esso dipende da diversi fattori:
- la minaccia iraniana di minare, in caso d'attacco, lo Stretto di Ormuz, attraverso il quale transita il 20% della produzione mondiale di greggio;
- l'intenzione dell'Iran, che non ignora che in questo momento il dollaro è il punto debole degli Stati Uniti, di esigere il pagamento delle esportazioni di petrolio e di gas in valuta europea;
- l'insuccesso dell'occupazione dell'Iraq, dove paradossalmente gli sciiti filo-iraniani sono i migliori alleati di Washington.
Ufficialmente il contenzioso tra Usa e Iran riguarda il complesso di Natanz, a 250 km da Tehran, dove si trova un impianto di arricchimento dell'uranio, contro il quale il Pentagono potrebbe scagliare, secondo le deliranti dichiarazioni dell'ex ministro della difesa Donald Rumsfeld, le bombe antibunker a ogiva nucleare B61-11, per costringere Tehran a rinunciare al suo programma nucleare.
I ministri degli affari esteri dei cinque stati con seggio permanente al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite (Stati uniti, Cina, Francia, Regno Unito, Russia) e della Germania, riuniti a Vienna il 1° giugno 2006, hanno elaborato un documento che formula, in tono conciliante, e stavolta senza minacce, una serie di nuove proposte per porre fine al contenzioso. In questo documento i Sei riconoscono il diritto dell'Iran ad accedere all'energia nucleare civile. Inoltre si impegnano ad aiutare il governo iraniano ad acquistare reattori ad acqua leggera. Propongono anche di porre fine all'embargo economico, promettendo di fornire all'Iran i pezzi di ricambio di cui ha bisogno per la sua aviazione, e di appoggiare la sua candidatura presso l'Organizzazione mondiale del commercio (Wto), alla quale Washington aveva opposto il suo veto per ben diciotto volte.
La vera concessione, però, è un'altra: il governo americano, che finora aveva sempre rifiutato nel modo più netto di discutere direttamente con gli iraniani, accetta infine di sedersi al tavolo dei negoziati, con la sola condizione che venga sospeso il programma iraniano di arricchimento dell'uranio.
Ma la coerenza con ciò che si dichiara non è una pratica molto di moda tra i governanti. L'Iran non interrompe affatto il suo programma nucleare e il 23 dicembre 2006 le Nazioni Unite decidono di imporre sanzioni commerciali e finanziarie all'Iran. La decisione è stata presa all'unanimità dal Consiglio di sicurezza, ed è stata respinta da Tehran, che l'ha definita "illegale". Per il presidente iraniano Ahmadinejad la risoluzione approvata al Palazzo di Vetro è solo "carta straccia", che non impedirà "di andare avanti". E infatti giunge la notizia che il governo iraniano avvierà l'installazione di 3.000 centrifughe per l'arricchimento dell'uranio in una centrale nucleare.
L'Onu ha imposto il bando a tutte le importazioni ed esportazioni di materiale pericoloso e tecnologia connessi all'arricchimento dell'uranio, a reattori ad acqua pesante e a sistemi per missili balistici. Ma dietro le dichiarazioni formali si nasconde ancora l'ambiguità dettata da interessi economici e militari: il testo approvato è meno restrittivo della bozza iniziale, redatta da Gran Bretagna, Francia e Germania. Alla fine prevalgono le obiezioni di Mosca: è stato salvato il contratto russo per la fornitura all'Iran di tecnologia per reattori ad acqua leggera e non è stato neppure preso in considerazione il blocco alle esportazioni di petrolio iraniano.