Gli esempi del servilismo del governo italiano nei confronti dell'amministrazione Bush sono già numerosi: dalla mancata richiesta di estradizione degli agenti della CIA che hanno rapito Abu Omar, agli attacchi ai magistrati milanesi che hanno "osato" rinviarli a giudizio, dal sì all'ampliamento della base di Vicenza in barba al parere della popolazione al rifinanziamento della missione in Afghanistan, presentata come "missione di pace", con relativi ricatti e insulti a chi dissente da questa scelta sciagurata.
Con il "caso Mastrogiacomo" però si è toccato il fondo: è bastato che il "padrone americano" facesse la voce grossa perché D'Alema cedesse su tutta la linea, negasse addirittura la trattativa con i rapitori e promettesse di mandare in Afghanistan più soldati e più mezzi (sempre alla faccia della "missione di pace"). Il vero artefice della liberazione del giornalista, Gino Strada, è stato prontamente scaricato e ormai non si parla più del mediatore di Emergency e dell'interprete afgano, destinati forse a perdersi nelle carceri dei servizi segreti di Kabul. All'abituale vigliaccheria del governo si somma così l'ingratitudine verso chi ha permesso il ritorno a casa del giornalista e ora viene additato come unico colpevole.
Il voto sulla missione in Afghanistan, previsto per la settimana prossima, potrebbe essere l'occasione per recuperare almeno un po' di dignità nei confronti di un padrone che esige obbedienza cieca, ma è probabile invece che assisteremo alla solita resa, condita da belle parole e ricatti più o meno velati a chi non si vuole piegare.
Il sit-in fuori dal Senato durante il voto (martedì 27 marzo alle ore 16) ricorderà a quanti si sono fatti eleggere con lo slogan "Via dalla sporca guerra" (anche se allora riferito alla presenza in Iraq delle truppe italiane e oggi tornate a casa) che votare a favore della missione in Afghanistan significa calpestare l'articolo 11 della Costituzione e tradire le promesse fatte a chi li ha votati.