Infatti il suddetto decreto legge prevede che quando gli attuali 25mila ricercatori andranno in pensione, essi non saranno sostituiti. Praticamente, per effetto-Moratti, i ricercatori non esisteranno più. I precari, che sono circa 50mila, avranno al massimo due contratti di tre anni e poi basta.
Ma non finisce qui. I professori associati dovranno accantonare il sogno di un contratto a tempo indeterminato, ma saranno costretti ad accontentarsi dei contratti a termine. Ma potranno rallegrarsi per la presenza al loro fianco di una nuova figura: il professore “a sovvenzione”, cioè pagato da un’azienda e assunto con un contratto, sempre a termine ovviamente, dall’Università. Una goduria!
Dulcis in fundo ci sono le nuove brillanti idee riguardanti il concorso nazionale per l'assegnazione delle nuove cattedre. Il riordino del reclutamento dei professori universitari consisterebbe, in pratica, nel far scomparire la figura del professore aggregato: il titolo verrebbe concesso, a titolo di sanatoria, a ricercatori e personale tecnico, i quali - furbizia delle furbizie - rimarranno senza un inquadramento contrattuale e con lo stesso stipendio.
Questo Ddl, trasformato per l’occasione in un maxiemendamento formato da un solo articolo, sembra proprio il trionfo della precarietà. Almeno allo sguardo di chi ha ancora gli occhi e il cervello connessi tra di loro.
Gli umanisti, già molto critici nei confronti della riforma sull’autonomia didattica dell’ex ministro Berlinguer ai tempi del governo Prodi, sono assolutamente contrari nei confronti di questo mostro legislativo.
Il Partito Umanista dissente, inoltre, riguardo alle modalità che la maggioranza sta usando per far passare il suddetto mostro. Il metodo del porre la fiducia al momento della votazione in Senato, dopo aver troncato ogni discussione con i diretti interessati, è assolutamente antidemocratico.
Una vera riforma, secondo il punto di vista umanista, deve partire in ogni caso da un aumento dei finanziamenti dello Stato alle Università, dall’abrogazione della riforma sull’autonomia didattica, dall’aumento dei finanziamenti stanziati per la ricerca, dalla trasformazione di tutti i contratti a termine in contratti a tempo indeterminato e dall’eliminazione velocemente progressiva del precariato.