Ecco la nostra proposta rispetto alla soluzione della crisi
economica mediante l'applicazione pratica della Costituzione Italiana.

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La Costituzione sotto attacco
 

Una delle caratteristiche principali dell’attuale stagione politica è rappresentata dal peggiore attacco che la Costituzione italiana ha mai dovuto subire da quando fu promulgata nel 1948. Un attacco che proviene da più parti, ma principalmente dal mondo politico e da quello del grande capitale. Un attacco che per la prima volta riguarda la prima parte della Costituzione, quella che sancisce i principi fondamentali e i rapporti tra i cittadini, su cui si basa la stessa repubblica italiana.

Le proposte più recenti vorrebbero modificare l’articolo 41, il quale stabilisce che l’iniziativa privata, pur essendo libera, “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana”. 


Nel frattempo, con perfetto tempismo, l’articolo 40, quello che disciplina il diritto allo sciopero, non viene assolutamente preso in considerazione dal documento della Fiat riguardante i lavoratori di Pomigliano d'Arco.

Non si tratta di una semplice messa in discussione, su cui gli umanisti non avrebbero nulla in contrario, in quanto non esiste nulla di stabilito a priori e che non possa essere messo in discussione.

Si tratta invece di un vero e proprio attacco, che tende, neanche in modo tanto velato, a svuotare la Costituzione, cercando letteralmente di liberarsene. Questo intento risulta evidente se consideriamo il fatto che la Costituzione ha una struttura e quindi, in quanto tale, una sua coerenza, per cui non si può intaccare un diritto senza che si abbiano conseguenze sull’intera struttura.

Intaccando l’articolo 41, si avrebbero, per esempio, immediate conseguenze sull’articolo 40, che sancisce il diritto allo sciopero, sull’articolo 39, che afferma la libertà di organizzarsi in un sindacato, sull’articolo 36, che sancisce il diritto del lavoratore ad una retribuzione “sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.

 

Le motivazioni che vengono sostenute per giustificare le modifiche proposte hanno principalmente a che fare con l’esigenza di uscire dall’attuale crisi economica. La Costituzione, in poche parole, rappresenterebbe un intralcio al mercato e alla concorrenza. A questo punto si rendono necessarie alcune considerazioni.

1) Non è vero che la Costituzione intralcia il mercato e la concorrenza, come dimostra lo stesso articolo 41, in cui si afferma che “l’iniziativa economica privata è libera”. Caso mai sono proprio la concorrenza spietata e il monopolio esercitato dalle multinazionali ad aver impedito finora la libertà d’iniziativa economica.

2) Non c’è una sola norma nella Costituzione che potrebbe essere considerata responsabile dell’attuale crisi economica. In altre parole, si cerca di affibbiare alla Costituzione responsabilità che sono altrove: sono proprio i grandi poteri economico-finanziari e le grandi banche i maggiori responsabili della crisi economica mondiale. Come per ogni problema, bisognerebbe andare ad agire sulla sua radice per risolverlo. Ma per fare questo bisognerebbe intaccare i grandi poteri su menzionati. Pur di non andare alla radice del problema, si mette sotto processo tutto il resto, compresa la Costituzione e i diritti in essa sanciti.

 

 

Difendere la Costituzione non basta

 

Contro l’aggressione nei confronti della Costituzione si sta alzando sempre più forte la voce di chi vuole difenderla.

A nostro avviso, però, la sola difesa non è sufficiente.

Troppo tempo è passato dalla promulgazione della Costituzione perché si possa ancora giustificare la mancata applicazione di numerosi diritti in essa sanciti.

Volendo restringere il campo all’economia, i sostenitori del sistema economico neoliberista hanno avuto sin troppo tempo a loro disposizione per curare i propri interessi nonostante la Costituzione. Il sistema economico neoliberista ha fallito, come dimostra l’attuale crisi economica. I detentori del potere economico, con la connivenza e la compiacenza del potere politico, hanno fatto di tutto, in questi primi 60 e più anni di vita della Costituzione italiana, per intralciare e ritardare la piena applicazione della nostra Carta. Non ha funzionato. È ora di dichiarare fallimento.

È ora di andare oltre la semplice difesa della Costituzione. Ora bisogna pretendere che venga applicata.

I principi fondamentali della Costituzione e le norme in essa contenute, che riguardano i “rapporti economici”, hanno in sé tutto ciò che serve per risolvere la crisi economica attuale.

Applichiamo la Costituzione e usciremo dalla crisi economica.

Vediamo perché.

 

 

La soluzione articolo per articolo

 

Nei principi fondamentali abbiamo l’articolo 1, dal quale già possiamo dedurre alcune conseguenze. In esso, oltre a dire che “L’Italia è una repubblica democratica, fondata sul lavoro”, si afferma anche che “la sovranità appartiene al popolo”. Non è scritto che la sovranità deve essere del popolo tranne che in temi che riguardano il lavoro e l’economia. Si parla di sovranità e basta. Sovranità popolare è sinonimo di democrazia. Possiamo asserire con sincerità che nei luoghi di lavoro esiste una vera democrazia? Siamo sufficientemente certi che la risposta a questa domanda non può che essere negativa.

Democrazia non è solo diritto al voto, ma anche, se non soprattutto, partecipazione. La partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’azienda in cui lavorano è promossa e favorita dalla Costituzione (articolo 46). Applicare questa norma costituzionale farebbe fare un salto in avanti, non solo in termini di reale democrazia, ma anche in termini strettamente economici, in quanto la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende ridurrebbe significativamente la “tentazione” di investire il profitto nella speculazione finanziaria. 

 

Gli articoli 3 e 4 dettano dei compiti ben precisi per la Repubblica e, inoltre, precisano anche i passi per giungere alla piena sovranità del popolo.

Nell’articolo 3 si legge: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. 

Nell’articolo 4 si legge: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”.

Ebbene, non sarebbe ormai ora che questa Repubblica facesse qualche sforzo in più per facilitare il pieno sviluppo della persona umana rimuovendo anche gli ostacoli di ordine economico? Secondo i dati Istat il 13,6% della popolazione italiana si trova in condizioni di "povertà relativa" e tale situazione non è solo il prodotto della crisi economica globale, ma di politiche deboli, inadeguate e in molti casi discriminatorie; secondo i dati Eurostat e del Fondo Monetario Internazionale l’Italia ha impiegato nel 2009 solo lo 0,8% del Pil per contrastare la crisi e solo lo 0,2% per l’Aiuto Pubblico allo Sviluppo (Aps), nonostante gli obiettivi delle Nazioni Unite parlassero di almeno lo 0,7%.

Possiamo affermare, quindi, che gli articoli 3 e 4 della Costituzione sono stati rispettati? Evidentemente no.

Il rispetto di questi due articoli metterebbe seriamente in crisi la scala di valori che sostiene l’attuale sistema neoliberista: non più il denaro, ma l’essere umano come valore centrale, perché sarebbe preoccupazione primaria della Repubblica “il pieno sviluppo della persona umana” e non più l’interesse economico di una minoranza che comporta, inevitabilmente, un deficit di “libertà e uguaglianza dei cittadini”. Applicare questi articoli comporterebbe una distribuzione della ricchezza ben diversa da quella a cui assistiamo oggi, in cui grandi ricchezze sono accumulate in poche mani e che, proprio per questo, è responsabile della crisi economica mondiale.   

 

Passiamo ora alle norme che regolano i “rapporti economici”.

L’articolo 35 dice delle cose molto interessanti: “La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori. Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro”.

La tutela del lavoro si è progressivamente ridotta, mentre ha assunto sempre più importanza la tutela del mercato. Si è passati dallo “Statuto dei lavoratori” del 1970 alla “privatizzazione del diritto del lavoro pubblico” nel 1993, per poi arrivare alla “liberalizzazione del lavoro privato” con la cosiddetta “Legge Biagi” del 2003. La logica sottostante a queste trasformazioni è stata quella di ridisegnare in senso autoritario il quadro delle relazioni sociali e i rapporti tra il sistema delle imprese e i lavoratori di vecchia e nuova generazione. L'autonomia delle imprese è sempre più lasciata alla “autodisciplina”, mentre quella dei lavoratori è affidata agli strumenti referendari. Alle imprese viene data "mano libera" e, nello stesso tempo, viene coltivata la speranza di scavalcare il dissenso sindacale, con un appello diretto ai lavoratori. Pur sottolineando l’importanza degli strumenti di autotutela e di democrazia diretta dei lavoratori, che esercitano anche una forte critica al verticismo sindacale, non possiamo nascondere il fatto che – spesso con la connivenza dei vertici sindacali - questi strumenti spesso e volentieri sono stati messi al servizio del particolaristico interesse di impresa contro i lavoratori stessi. La dimostrazione più recente di questa forma di strumentalizzazione è rappresentata dal referendum sul documento della Fiat riguardante i lavoratori di Pomigliano d'Arco, in cui il voto è stato fortemente condizionato dal timore di perdere il posto di lavoro.

Si sta quindi procedendo in senso contrario a ciò che sancisce la Costituzione: mentre lo Statuto dei lavoratori poteva essere considerato un tentativo serio di mettere in atto ciò che è sancito costituzionalmente, dal 1993 in poi si sta affermando una logica che sta distruggendo man mano i cardini fondativi del diritto al lavoro, configurando un ritorno indietro ad un’epoca pre-costituzionale,  in cui il prestatore d'opera non è il "titolare di un rapporto di lavoro", bensì "un collaboratore che opera all'interno di un ciclo", coerentemente con le ideologie più retrive e conservatrici.

Il risultato di questo processo a ritroso è sotto gli occhi di tutti: le nuove generazioni sono sottoposte a ricatti che sfiorano lo schiavismo pur di poter lavorare, sono costrette a rimanere al rimorchio della famiglia di origine ed è praticamente impossibile acquisire una minima sicurezza economica che permetta di programmare la propria vita. Alla speranza di progredire ulteriormente rispetto alla generazione precedente si è sostituita la paura di regredire.

Ce n’è quanto basta per pretendere l’applicazione della Costituzione, che ha già dimostrato, attraverso la tutela del lavoro, di determinare avanzamenti mai realizzati prima in termini di dignità dei lavoratori e di speranza in un futuro migliore.       

 

L’articolo 36 dice che: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita per legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie retribuite, e non può rinunziarvi ”.

In Italia continua a calare il potere d' acquisto dei redditi pro capite. Cala da anni, sempre di più: in 8 anni il potere d' acquisto si è indebolito di oltre 5 punti. Questa è la diretta conseguenza del processo a ritroso che abbiamo descritto prima rispetto all’articolo 35. L’arretramento in termini di tutela del lavoro, a favore della tutela del mercato, si è praticamente basato sulla sconnessione totale rispetto a questi articoli della Costituzione, come se non esistessero.

Non c’è più proporzione tra la prestazione d’opera e la retribuzione, determinando sempre più problemi a milioni di famiglie, che non sanno più come arrivare alla fine del mese. Nonostante sia stabilita per legge la durata massima della giornata lavorativa, sempre più lavoratori, specialmente nel settore privato, sono costretti a turni massacranti pur di mantenere il posto di lavoro, rinunciando spesso anche alle ferie e al riposo settimanale. Con quale risultato?

Sono forse aumentati i posti di lavoro? No. La disoccupazione continua ad aumentare. La favola del libero mercato del lavoro che avrebbe prodotto milioni di posti di lavoro si è rivelata un’enorme bugia. Non c’è un solo risultato positivo in termini di occupazione e di crescita economica. L’unico risultato è l’aumento ulteriore della disuguaglianza sociale.

La piena applicazione dell’articolo 36 determinerebbe, invece, il pieno rispetto della dignità di ogni lavoratore e delle loro famiglie. Comporterebbe, non solo un maggiore potere d’acquisto, ma un livello di stabilità economica sufficiente per dare una certa progettualità alla propria vita. E se la maggioranza dei cittadini può fare progetti è l’intero paese che può fare progetti. Perché crisi economica vuol dire anche crisi di progettualità per il futuro: mettere i cittadini in condizione di progettare, come afferma la Costituzione, significa uscire dalla crisi.

 

Passiamo al già citato articolo 41: “L’iniziativa privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.

Fare un elenco di tutte le iniziative che hanno messo a repentaglio la sicurezza, la libertà e la dignità umana sarebbe impossibile. Qui lo Stato ha una responsabilità enorme, perché risulta assolutamente insufficiente nel programmare attività indirizzate a fini sociali e nel controllare che le attività economiche esistenti abbiamo tale indirizzo. Fare questo, invece, è di vitale importanza per l’economia di un paese. Avere come presupposto imprescindibile l’utilità sociale, e non il lucro personale, determinerebbe una svolta epocale sul piano sociale ed economico: pieno rispetto dei diritti dei lavoratori; produzione di beni realmente utili alla società; fine della deviazione del profitto verso la speculazione finanziaria.

L’articolo 41 ha un ruolo centrale per il futuro della società e non è un caso che proprio questo articolo sia oggi uno dei bersagli preferiti da chi sta attaccando la Costituzione. L’applicazione di questo articolo manderebbe gambe all’aria l’intero impianto ultraliberista.

 

L’articolo 45 afferma che “La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l’incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità”.

Gli umanisti individuano nel cooperativismo uno dei sistemi economici più consoni per l’ulteriore evoluzione dei rapporti economici e, quindi, dell’intera società. Promuovere e favorire la cooperazione, come recita la Costituzione, significa riconoscere la natura storica di tali rapporti e quindi la loro naturale tendenza all’evoluzione. Fermare tale dinamica storica significa sostenere l’immobilismo e la permanenza di rapporti economici basati ancora sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, non più consoni all’evoluzione umana.

Le forze produttive hanno bisogno del cooperativismo per affrancarsi dalle condizioni di dipendenza in cui sono ancora costrette dai monopoli economici e finanziari e per modificare la situazione a favore di una progressiva distribuzione della ricchezza.

 

L’articolo 46, infine, afferma che “Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”.

Applicare pienamente questo articolo significherebbe fare un passo decisivo verso la storia, uscendo dalla preistoria dei rapporti economici così come si sono articolati finora.  La partecipazione dei lavoratori nei profitti della proprietà e nella presa di decisioni nelle imprese, rappresenta un pilastro fondamentale per permettere che l’equità nella distribuzione della ricchezza si concretizzi nella pratica.

Solo con la partecipazione diretta dei lavoratori alla gestione dell’impresa si potrà assicurare che il profitto non venga perso nelle speculazioni finanziarie, ma che venga reinvestito nella produzione e nella creazione di nuovi posti di lavoro.

 

 

Ora e subito Costituzione

Per superare la crisi economica bisogna, quindi, applicare la Costituzione. Non solo difenderla, ma pretendere che venga applicata. Chi si rifiuta di prendere in considerazione le norme sancite in quella Carta per affrontare la crisi economica, non solo non vuole veramente risolvere la crisi, ma è anticostituzionale, il che è grave per chi oggi pretende di governare questo paese e per chi pretende di rappresentare il popolo in Parlamento.

 

Il Partito Umanista sta lottando e lotterà affinché, per risolvere la crisi economica, la Costituzione venga finalmente applicata. Perché nella Costituzione sono previsti tutti i mezzi necessari per risolvere alla sua radice la crisi economica, senza perdere ulteriore tempo nell'inventare manovre che hanno il solo scopo di difendere gli interessi particolari di chi già detiene il potere economico, a tutto discapito della maggioranza dei cittadini.

Il tempo delle menzogne è giunto al termine. Ora e subito Costituzione.

 

 

 

(Ultimo aggiornamento: 25 settembre 2010)                   

 

PARTITO UMANISTA

 

 

Per un’economia

di sana e robusta

Costituzione

 

 

La Costituzione sotto attacco

 

Una delle caratteristiche principali dell’attuale stagione politica è rappresentata dal peggiore attacco che la Costituzione italiana ha mai dovuto subire da quando fu promulgata nel 1948. Un attacco che proviene da più parti, ma principalmente dal mondo politico e da quello del grande capitale. Un attacco che per la prima volta riguarda la prima parte della Costituzione, quella che sancisce i principi fondamentali e i rapporti tra i cittadini, su cui si basa la stessa repubblica italiana.

Le proposte più recenti vorrebbero modificare l’articolo 41, il quale stabilisce che l’iniziativa privata, pur essendo libera, “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana”.  

Nel frattempo, con perfetto tempismo, l’articolo 40, quello che disciplina il diritto allo sciopero, non viene assolutamente preso in considerazione dal documento della Fiat riguardante i lavoratori di Pomigliano d'Arco.

Non si tratta di una semplice messa in discussione, su cui gli umanisti non avrebbero nulla in contrario, in quanto non esiste nulla di stabilito a priori e che non possa essere messo in discussione.

Si tratta invece di un vero e proprio attacco, che tende, neanche in modo tanto velato, a svuotare la Costituzione, cercando letteralmente di liberarsene. Questo intento risulta evidente se consideriamo il fatto che la Costituzione ha una struttura e quindi, in quanto tale, una sua coerenza, per cui non si può intaccare un diritto senza che si abbiano conseguenze sull’intera struttura.

Intaccando l’articolo 41, si avrebbero, per esempio, immediate conseguenze sull’articolo 40, che sancisce il diritto allo sciopero, sull’articolo 39, che afferma la libertà di organizzarsi in un sindacato, sull’articolo 36, che sancisce il diritto del lavoratore ad una retribuzione “sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.

 

Le motivazioni che vengono sostenute per giustificare le modifiche proposte hanno principalmente a che fare con l’esigenza di uscire dall’attuale crisi economica. La Costituzione, in poche parole, rappresenterebbe un intralcio al mercato e alla concorrenza. A questo punto si rendono necessarie alcune considerazioni.

1) Non è vero che la Costituzione intralcia il mercato e la concorrenza, come dimostra lo stesso articolo 41, in cui si afferma che “l’iniziativa economica privata è libera”. Caso mai sono proprio la concorrenza spietata e il monopolio esercitato dalle multinazionali ad aver impedito finora la libertà d’iniziativa economica.

2) Non c’è una sola norma nella Costituzione che potrebbe essere considerata responsabile dell’attuale crisi economica. In altre parole, si cerca di affibbiare alla Costituzione responsabilità che sono altrove: sono proprio i grandi poteri economico-finanziari e le grandi banche i maggiori responsabili della crisi economica mondiale. Come per ogni problema, bisognerebbe andare ad agire sulla sua radice per risolverlo. Ma per fare questo bisognerebbe intaccare i grandi poteri su menzionati. Pur di non andare alla radice del problema, si mette sotto processo tutto il resto, compresa la Costituzione e i diritti in essa sanciti.

 

 

Difendere la Costituzione non basta

 

Contro l’aggressione nei confronti della Costituzione si sta alzando sempre più forte la voce di chi vuole difenderla.

A nostro avviso, però, la sola difesa non è sufficiente.

Troppo tempo è passato dalla promulgazione della Costituzione perché si possa ancora giustificare la mancata applicazione di numerosi diritti in essa sanciti.

Volendo restringere il campo all’economia, i sostenitori del sistema economico neoliberista hanno avuto sin troppo tempo a loro disposizione per curare i propri interessi nonostante la Costituzione. Il sistema economico neoliberista ha fallito, come dimostra l’attuale crisi economica. I detentori del potere economico, con la connivenza e la compiacenza del potere politico, hanno fatto di tutto, in questi primi 60 e più anni di vita della Costituzione italiana, per intralciare e ritardare la piena applicazione della nostra Carta. Non ha funzionato. È ora di dichiarare fallimento.

È ora di andare oltre la semplice difesa della Costituzione. Ora bisogna pretendere che venga applicata.

I principi fondamentali della Costituzione e le norme in essa contenute, che riguardano i “rapporti economici”, hanno in sé tutto ciò che serve per risolvere la crisi economica attuale.

Applichiamo la Costituzione e usciremo dalla crisi economica.

Vediamo perché.

 

 

La soluzione articolo per articolo

 

Nei principi fondamentali abbiamo l’articolo 1, dal quale già possiamo dedurre alcune conseguenze. In esso, oltre a dire che “L’Italia è una repubblica democratica, fondata sul lavoro, si afferma anche che “la sovranità appartiene al popolo”. Non è scritto che la sovranità deve essere del popolo tranne che in temi che riguardano il lavoro e l’economia. Si parla di sovranità e basta. Sovranità popolare è sinonimo di democrazia. Possiamo asserire con sincerità che nei luoghi di lavoro esiste una vera democrazia? Siamo sufficientemente certi che la risposta a questa domanda non può che essere negativa.

Democrazia non è solo diritto al voto, ma anche, se non soprattutto, partecipazione. La partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’azienda in cui lavorano è promossa e favorita dalla Costituzione (articolo 46). Applicare questa norma costituzionale farebbe fare un salto in avanti, non solo in termini di reale democrazia, ma anche in termini strettamente economici, in quanto la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende ridurrebbe significativamente la “tentazione” di investire il profitto nella speculazione finanziaria.  

 

Gli articoli 3 e 4 dettano dei compiti ben precisi per la Repubblica e, inoltre, precisano anche i passi per giungere alla piena sovranità del popolo.

Nell’articolo 3 si legge: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.  

Nell’articolo 4 si legge: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”.

Ebbene, non sarebbe ormai ora che questa Repubblica facesse qualche sforzo in più per facilitare il pieno sviluppo della persona umana rimuovendo anche gli ostacoli di ordine economico? Secondo i dati Istat il 13,6% della popolazione italiana si trova in condizioni di "povertà relativa" e tale situazione non è solo il prodotto della crisi economica globale, ma di politiche deboli, inadeguate e in molti casi discriminatorie; secondo i dati Eurostat e del Fondo Monetario Internazionale l’Italia ha impiegato nel 2009 solo lo 0,8% del Pil per contrastare la crisi e solo lo 0,2% per l’Aiuto Pubblico allo Sviluppo (Aps), nonostante gli obiettivi delle Nazioni Unite parlassero di almeno lo 0,7%.

Possiamo affermare, quindi, che gli articoli 3 e 4 della Costituzione sono stati rispettati? Evidentemente no.

Il rispetto di questi due articoli metterebbe seriamente in crisi la scala di valori che sostiene l’attuale sistema neoliberista: non più il denaro, ma l’essere umano come valore centrale, perché sarebbe preoccupazione primaria della Repubblica “il pieno sviluppo della persona umana” e non più l’interesse economico di una minoranza che comporta, inevitabilmente, un deficit di “libertà e uguaglianza dei cittadini”. Applicare questi articoli comporterebbe una distribuzione della ricchezza ben diversa da quella a cui assistiamo oggi, in cui grandi ricchezze sono accumulate in poche mani e che, proprio per questo, è responsabile della crisi economica mondiale.    

 

Passiamo ora alle norme che regolano i “rapporti economici”.

L’articolo 35 dice delle cose molto interessanti: “La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori. Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro”.

La tutela del lavoro si è progressivamente ridotta, mentre ha assunto sempre più importanza la tutela del mercato. Si è passati dallo “Statuto dei lavoratori” del 1970 alla “privatizzazione del diritto del lavoro pubblico” nel 1993, per poi arrivare alla “liberalizzazione del lavoro privato” con la cosiddetta “Legge Biagi” del 2003. La logica sottostante a queste trasformazioni è stata quella di ridisegnare in senso autoritario il quadro delle relazioni sociali e i rapporti tra il sistema delle imprese e i lavoratori di vecchia e nuova generazione. L'autonomia delle imprese è sempre più lasciata alla “autodisciplina”, mentre quella dei lavoratori è affidata agli strumenti referendari. Alle imprese viene data "mano libera" e, nello stesso tempo, viene coltivata la speranza di scavalcare il dissenso sindacale, con un appello diretto ai lavoratori. Pur sottolineando l’importanza degli strumenti di autotutela e di democrazia diretta dei lavoratori, che esercitano anche una forte critica al verticismo sindacale, non possiamo nascondere il fatto che – spesso con la connivenza dei vertici sindacali - questi strumenti spesso e volentieri sono stati messi al servizio del particolaristico interesse di impresa contro i lavoratori stessi. La dimostrazione più recente di questa forma di strumentalizzazione è rappresentata dal referendum sul documento della Fiat riguardante i lavoratori di Pomigliano d'Arco, in cui il voto è stato fortemente condizionato dal timore di perdere il posto di lavoro.

Si sta quindi procedendo in senso contrario a ciò che sancisce la Costituzione: mentre lo Statuto dei lavoratori poteva essere considerato un tentativo serio di mettere in atto ciò che è sancito costituzionalmente, dal 1993 in poi si sta affermando una logica che sta distruggendo man mano i cardini fondativi del diritto al lavoro, configurando un ritorno indietro ad un’epoca pre-costituzionale,  in cui il prestatore d'opera non è il "titolare di un rapporto di lavoro", bensì "un collaboratore che opera all'interno di un ciclo", coerentemente con le ideologie più retrive e conservatrici.

Il risultato di questo processo a ritroso è sotto gli occhi di tutti: le nuove generazioni sono sottoposte a ricatti che sfiorano lo schiavismo pur di poter lavorare, sono costrette a rimanere al rimorchio della famiglia di origine ed è praticamente impossibile acquisire una minima sicurezza economica che permetta di programmare la propria vita. Alla speranza di progredire ulteriormente rispetto alla generazione precedente si è sostituita la paura di regredire.

Ce n’è quanto basta per pretendere l’applicazione della Costituzione, che ha già dimostrato, attraverso la tutela del lavoro, di determinare avanzamenti mai realizzati prima in termini di dignità dei lavoratori e di speranza in un futuro migliore.        

 

L’articolo 36 dice che: Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita per legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie retribuite, e non può rinunziarvi .

In Italia continua a calare il potere d' acquisto dei redditi pro capite. Cala da anni, sempre di più: in 8 anni il potere d' acquisto si è indebolito di oltre 5 punti. Questa è la diretta conseguenza del processo a ritroso che abbiamo descritto prima rispetto all’articolo 35. L’arretramento in termini di tutela del lavoro, a favore della tutela del mercato, si è praticamente basato sulla sconnessione totale rispetto a questi articoli della Costituzione, come se non esistessero.

Non c’è più proporzione tra la prestazione d’opera e la retribuzione, determinando sempre più problemi a milioni di famiglie, che non sanno più come arrivare alla fine del mese. Nonostante sia stabilita per legge la durata massima della giornata lavorativa, sempre più lavoratori, specialmente nel settore privato, sono costretti a turni massacranti pur di mantenere il posto di lavoro, rinunciando spesso anche alle ferie e al riposo settimanale. Con quale risultato?

Sono forse aumentati i posti di lavoro? No. La disoccupazione continua ad aumentare. La favola del libero mercato del lavoro che avrebbe prodotto milioni di posti di lavoro si è rivelata un’enorme bugia. Non c’è un solo risultato positivo in termini di occupazione e di crescita economica. L’unico risultato è l’aumento ulteriore della disuguaglianza sociale.

La piena applicazione dell’articolo 36 determinerebbe, invece, il pieno rispetto della dignità di ogni lavoratore e delle loro famiglie. Comporterebbe, non solo un maggiore potere d’acquisto, ma un livello di stabilità economica sufficiente per dare una certa progettualità alla propria vita. E se la maggioranza dei cittadini può fare progetti è l’intero paese che può fare progetti. Perché crisi economica vuol dire anche crisi di progettualità per il futuro: mettere i cittadini in condizione di progettare, come afferma la Costituzione, significa uscire dalla crisi.

 

Passiamo al già citato articolo 41: “L’iniziativa privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.

Fare un elenco di tutte le iniziative che hanno messo a repentaglio la sicurezza, la libertà e la dignità umana sarebbe impossibile. Qui lo Stato ha una responsabilità enorme, perché risulta assolutamente insufficiente nel programmare attività indirizzate a fini sociali e nel controllare che le attività economiche esistenti abbiamo tale indirizzo. Fare questo, invece, è di vitale importanza per l’economia di un paese. Avere come presupposto imprescindibile l’utilità sociale, e non il lucro personale, determinerebbe una svolta epocale sul piano sociale ed economico: pieno rispetto dei diritti dei lavoratori; produzione di beni realmente utili alla società; fine della deviazione del profitto verso la speculazione finanziaria.

L’articolo 41 ha un ruolo centrale per il futuro della società e non è un caso che proprio questo articolo sia oggi uno dei bersagli preferiti da chi sta attaccando la Costituzione. L’applicazione di questo articolo manderebbe gambe all’aria l’intero impianto ultraliberista.

 

L’articolo 45 afferma che “La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l’incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità”.

Gli umanisti individuano nel cooperativismo uno dei sistemi economici più consoni per l’ulteriore evoluzione dei rapporti economici e, quindi, dell’intera società. Promuovere e favorire la cooperazione, come recita la Costituzione, significa riconoscere la natura storica di tali rapporti e quindi la loro naturale tendenza all’evoluzione. Fermare tale dinamica storica significa sostenere l’immobilismo e la permanenza di rapporti economici basati ancora sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, non più consoni all’evoluzione umana.

Le forze produttive hanno bisogno del cooperativismo per affrancarsi dalle condizioni di dipendenza in cui sono ancora costrette dai monopoli economici e finanziari e per modificare la situazione a favore di una progressiva distribuzione della ricchezza.

 

L’articolo 46, infine, afferma che “Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”.

Applicare pienamente questo articolo significherebbe fare un passo decisivo verso la storia, uscendo dalla preistoria dei rapporti economici così come si sono articolati finora.  La partecipazione dei lavoratori nei profitti della proprietà e nella presa di decisioni nelle imprese, rappresenta un pilastro fondamentale per permettere che l’equità nella distribuzione della ricchezza si concretizzi nella pratica.

Solo con la partecipazione diretta dei lavoratori alla gestione dell’impresa si potrà assicurare che il profitto non venga perso nelle speculazioni finanziarie, ma che venga reinvestito nella produzione e nella creazione di nuovi posti di lavoro.

 

 

Ora e subito Costituzione

Per superare la crisi economica bisogna, quindi, applicare la Costituzione. Non solo difenderla, ma pretendere che venga applicata. Chi si rifiuta di prendere in considerazione le norme sancite in quella Carta per affrontare la crisi economica, non solo non vuole veramente risolvere la crisi, ma è anticostituzionale, il che è grave per chi oggi pretende di governare questo paese e per chi pretende di rappresentare il popolo in Parlamento.

 

Il Partito Umanista sta lottando e lotterà affinché, per risolvere la crisi economica, la Costituzione venga finalmente applicata. Perché nella Costituzione sono previsti tutti i mezzi necessari per risolvere alla sua radice la crisi economica, senza perdere ulteriore tempo nell'inventare manovre che hanno il solo scopo di difendere gli interessi particolari di chi già detiene il potere economico, a tutto discapito della maggioranza dei cittadini.

Il tempo delle menzogne è giunto al termine. Ora e subito Costituzione.

 

 

 

(Ultimo aggiornamento: 25 settembre 2010)                   

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