Roma, 11 ottobre 2010

Dopo la morte di altri quattro militari italiani, risulta ormai evidente che la cosiddetta “missione di pace” in Afghanistan non è mai stata tale, ma è stata sempre una missione di “guerra”.
Chi ha la pace nel cuore e la luce nella ragione ha sempre saputo che era così e non era certo necessaria la morte di tanti soldati e di tanti civili per capire, sin dall’inizio di questo delirio bellico, che di tutto si trattava tranne che di missione “di pace”.

Il ministro della difesa italiano accusa chi propone il ritiro delle truppe italiane dall’Afghanistan di sciacallaggio. Non ci interessa molto il parere di un ministro che sarebbe più appropriato definire “della guerra” anziché della difesa, visto che oggi, proprio dopo l’ennesimo inutile sacrificio di altre quattro vite umane, vorrebbe dotare gli aerei di bombe che inesorabilmente, se venissero usate, potrebbero colpire la popolazione civile.
Ci preme solo ricordare a tale ministro che, almeno per quel che riguarda gli umanisti, l’opposizione a questa, come ad altre missioni falsamente definite “di pace”, non nasce oggi.
Ogni volta che si è preteso di risolvere un conflitto con l’uso delle armi la voce degli umanisti si è sempre levata contro tali risoluzioni. Nello specifico, mentre i guerrafondai di turno soffiavano sull’emozione suscitata nell’opinione pubblica dall’attentato alle torri gemelle per invadere l’Afghanistan, gli umanisti e tutti i sinceri nonviolenti manifestavano il loro dissenso verso quella corsa alle armi. Sapevamo già come sarebbe andata a finire e i fatti di oggi dimostrano che ancora una volta avevamo ragione: un inutile spargimento di sangue. Il terrorismo non è stato debellato, anzi ha ripreso vigore. Proprio perché si è puntato sulla soluzione bellica, e non su quella politica, dopo nove anni la situazione sociale e politica in Afghanistan è ancora un groviglio inestricabile. Se tutte le energie, in termini di risorse umane ed economiche, impiegate nel fare una guerra inutile si fossero invece impiegate nel cercare una soluzione politica a quest’ora le condizioni di quel paese sarebbero ben diverse.
Invece no! La pressione dei costruttori d’armi e l’assoluta inadeguatezza dei governi ad affrontare veramente i conflitti ci hanno portato alla situazione attuale: il terrorismo è vivo e vegeto, la popolazione afghana continua a contare i propri morti innocenti e diventano sempre di più le famiglie che piangono per i loro figli mandati in Afghanistan per una missione che, ormai, solo il presidente del consiglio e qualcun altro continuano a definire “di pace”.

Giustamente il militare italiano rimasto ferito nell’agguato ha detto: “Ma che ci stiamo a fare qui?”.
Chissà quanti altri, come lui, stanno pensando la stessa cosa.
L’Italia ripudia la guerra come mezzo di risoluzione. Lo dice la sua Costituzione. Se dopo nove anni nessuna soluzione al conflitto è stata raggiunta, rimanere in Afghanistan è anticostituzionale.
È giusto, quindi, domandarsi “che ci stiamo a fare lì?”.

Il Partito Umanista propone il ritiro immediato delle truppe italiane dall’Afghanistan, al fine di impiegare finalmente tutta l’intelligenza e le risorse disponibili per aiutare veramente il popolo afghano a risollevarsi.
Tanta intelligenza e nemmeno un’arma. Di questo ha veramente bisogno il mondo.  
Al contempo il Partito Umanista si augura che aumenti sempre di più il numero di militari in cui si risvegli la coscienza e si rifiutino di rischiare la propria vita per false soluzioni, così come detta la nostra Costituzione.


PARTITO UMANISTA
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