Roma,1 dicembre 2010
Come previsto, il disegno di legge della cosiddetta “riforma” dell’università è stato approvato dalla Camera dei Deputati. Com’era altrettanto prevedibile, la grande mobilitazione contro questo disegno di legge, i cui protagonisti non sono solo studenti e ricercatori, ma che coinvolge altri settori della società come quelli dell’informazione e della cultura, è stata oggetto di discussione durante il dibattito parlamentare quasi esclusivamente per quel che riguarda l’ordine pubblico, senza entrare quasi mai nel merito dei reali motivi per cui si sono mobilitati migliaia e migliaia di cittadini in Italia e in Europa.
La protesta, che non è solo italiana ma europea, vuole contrastare lo smantellamento dell’istruzione pubblica, la precarizzazione a vita di chi fa ricerca e lavora per l’istruzione, l’aristocrazia baronale basata sul numero chiuso e la progressiva riduzione del diritto allo studio tramite i tagli alle borse di studio e l’innalzamento costante delle tasse d’iscrizione.
Né la riforma Gelmini, né il dibattito che a livello istituzionale si è sviluppato su di essa, hanno toccato questi punti. Mai come in questo caso è risultato così evidente la diversità di linguaggio tra i cittadini e le forze politiche, sia di maggioranza sia di opposizione, che di essi dovrebbero essere i rappresentanti.
Da una parte, nelle centinaia di manifestazioni che hanno riempito le piazze, i tetti e i monumenti, si parla di un tipo di istruzione che si fonda sui valori umani di solidarietà, di uguaglianza di opportunità per tutti e di cultura della libertà. Dall’altra, nelle stanze dei palazzi del potere istituzionale, si parla di tagli all’istruzione e alla cultura, di premi monetari al merito e di logiche di potere da rispettare nel riordino della cosiddetta “governance” dell’università, senza che si faccia alcun accenno, invece, al deficit di democrazia di cui soffre l’università e che rappresenta un grosso ostacolo al progresso del sistema universitario.
Una nuova organizzazione dell’università non passa, come previsto dalla riforma Gelmini, attraverso una ulteriore concentrazione di potere nelle mani dei rettori e di consigli di amministrazione riempiti di soggetti legati ad oligarchie economico-politiche locali, ma attraverso un aumento del grado di democrazia, che deve diventare democrazia “diretta”, in cui abbiano reale dignità gli studenti e i lavoratori non docenti.
Per l’attuale governo, invece, ciò che importa è l’inserimento nel mondo dell’istruzione, da quella primaria a quella terziaria, della stessa logica su cui basa tutta la sua azione: la “logica del profitto”. In nome di questa logica gli studenti, come tutti i cittadini d’altronde, per continuare a vivere hanno l’unica possibilità di essere e continuare ad essere un “gregge” che non protesta, non si esprime, non propone alternative.
Quanto sia vero tutto questo lo dimostra la frase con cui il presidente del consiglio ha denigrato la protesta di questi giorni: “Gli studenti veri stanno a casa a studiare, quelli in giro a protestare sono dei centri sociali e sono fuori corso”.
Una frase del genere merita una sola risposta: “Sig. Berlusconi, se qui c’è qualcuno che deve stare a casa a studiare, è proprio lei e tutti i somari che ha portato in Parlamento”. Con tutto il rispetto per i somari.
Ecco, quindi, qual è il vero disegno di questo governo, con cui la cosiddetta riforma Gelmini e del tutto coerente: trasformare il popolo italiano in un grande gregge da manipolare a proprio piacimento e da spremere a favore del proprio portafogli.