Roma, 28 dicembre 2010

Il contratto Mirafiori proposto da Marchionne e firmato da tutti i sindacati, tranne la Fiom, rappresenta, a nostro avviso, un passo indietro, un ritorno ad un’epoca in cui lo statuto dei lavoratori era ancora una speranza. Quando non si riesce più a progredire ma, anzi, si comincia a tornare indietro, vuol dire che coloro che hanno delle responsabilità dirigenziali, come nel caso specifico Marchionne e la maggioranza dei vertici sindacali, non è più dotato degli strumenti sufficienti per affrontare la situazione. Può anche darsi che ci sia un atteggiamento autoritario e antidemocratico, ma quando alla base c’è un’evidente incapacità, tali atteggiamenti sono solo esacerbati, ma non sono certo la causa di un fallimento.
Dal nostro punto di vista sia Marchionne e tutta la dirigenza Fiat, sia i rappresentanti sindacali dei lavoratori, non sono più in grado di gestire la condizione di crisi dell’azienda automobilistica e, andando a cercare soluzioni, non fanno altro che riproporre solo ciò che il loro vecchio paesaggio di formazione può suggerire.
Che altro può essere, se non roba vecchia, un contratto in cui si prevede la possibilità che i lavoratori facciano anche 120 ore di straordinario al mese, il ricorso massiccio ai turni notturni, pause più brevi, la possibilità che il primo giorno di malattia non venga pagato, la possibilità che un lavoratore che sciopera contro l’accordo venga licenziato e che solo i sindacati firmatari possano avere dei rappresentanti aziendali?

foto manifestazione metalmeccanici di http://www.flickr.com/photos/hidden_vice/


Marchionne è solo un “robivecchi” e i sindacati che hanno accettato queste condizioni si sono ridotti a dei semplici volantini con cui propagandare tra i lavoratori la sua mercanzia.
L’accusa di autoritarismo alla dirigenza Fiat sarà anche vera, ma non centra il problema, anzi, fa solo in modo da spostare l’attenzione dal nodo centrale. Il nodo centrale è che dirigenti come Marchionne fanno i “padroni” in stile novecentesco perché solo quello sanno fare, così come, probabilmente, anche molti dirigenti sindacali sono solo in grado di fare i rappresentanti dei lavoratori in stile novecentesco.
 
Di fronte alla crisi attuale solo la partecipazione diretta dei lavoratori alla gestione delle aziende in cui lavorano può essere la risposta più adeguata ed efficace. Più presto se ne renderanno conto gli stessi lavoratori, più veloce sarà l’uscita dalla crisi.
Il grande capitale ha ormai superato lo stadio dell’economia di mercato e cerca di disciplinare la società per far fronte al caos che esso stesso ha generato. Un caos dovuto sostanzialmente alla speculazione e all’usura, due elementi per loro natura inessenziali per il lavoro, ma determinanti per la genesi della crisi mondiale in corso.
La stessa minaccia, usata da Marchionne, che il capitale possa fuggire verso luoghi ed aree più redditizie non ha ormai ragion d’essere. Quando c’era realmente questa possibilità, la Fiat – insieme a tante altre multinazionali - lo ha già fatto, senza alzare polveroni. Le minacce attuali sono solo un bluff perché il modello economico ultraliberista che ha dominato negli ultimi decenni ha già prodotto una saturazione, innescando una crisi mondiale senza precedenti.

Ciò che vogliamo proporre, prima di tutto ai lavoratori, non ha nulla a che vedere, ovviamente, con la ottocentesca confisca dei mezzi di produzione da parte dei lavoratori. Si tratta dell’unico modo per controbattere i licenziamenti in massa, la chiusura e lo svuotamento delle aziende: una compartecipazione dei lavoratori nella gestione e nella direzione delle aziende, affinché il profitto del loro lavoro non vada più verso la speculazione e l’usura, ma verso la creazione di vera ricchezza per tutti e di nuovi posti lavoro. Tutto il resto è solo “roba vecchia” che fa parte della preistoria.

 

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