Molte persone oggi si stanno chiedendo come mai gli italiani, di fronte alle malefatte sempre più evidenti dell’attuale capo del governo, non si indignano più di tanto e non si mobilitano in massa per rimandarlo a casa.
Necessariamente dobbiamo premettere che le risposte possono essere molte, tutte con un certo grado di validità. Possono essere molte, non solo perché le risposte nascono da opinioni diverse, ma anche perché diversi possono essere i livelli di profondità da cui si parte.
Si può cercare la risposta partendo dal quadro politico attuale, tentando di individuare responsabilità tra le mosse più o meno sbagliate dei partiti politici. Oppure la risposta potrebbe essere dedotta da un’indagine storica e sociologica sul popolo italiano. Anche partendo dal punto di vista culturale possono sorgere risposte più o meno interessanti.
Un altro punto di partenza, che non si sofferma sulle pur importanti caratteristiche specifiche di un popolo, è quello che sorge da una domanda che dovrebbe interessare ogni essere umano: quali sono le condizioni in cui vogliamo vivere?
Pur considerando l’infimo grado di informazione che si riceve, la stragrande maggioranza delle persone è consapevole della criticità della situazione attuale. Tuttavia la scelta che si segue con maggiore frequenza è quella di occuparsi esclusivamente della propria vita, disinteressandosi totalmente, o quasi, del disagio degli altri e di ciò che succede nel contesto sociale in cui pur si vive.
Quando si tratta di criticare i governi e in generale il sistema non c’è alcuna difficoltà a condividere anche con forza tali critiche, ma tutta questa forza d’incanto scompare quando si tratta di tentare un cambiamento delle condizioni in cui si vive. A quel punto un gran numero di persone è pronto anche a votare i partiti di maggioranza, subendo il ricatto di appoggiare l’attuale sistema pur di scongiurare eventuali sciagure derivanti dalla mancanza di quel voto. Tutto ciò succede nonostante questo gran numero di persone sa benissimo che viviamo in un regime di democrazia del tutto formale che non risponderà mai alle esigenze reali dei cittadini, ma solo ai dettami di potenti gruppi economici.
È la dittatura dell’egoismo e del pragmatismo a tutto discapito del futuro.
Infatti, se ognuno cercasse di rispondere alla domanda sulle condizioni in cui vuole vivere, sicuramente cercherebbe di appoggiare fenomeni di interesse futuro, come votare e chiedere il voto a favore di partiti più piccoli o come appoggiare la formazione di organizzazioni sindacali al di fuori del quadro stabilito.
Se ognuno fosse veramente consapevole delle condizioni in cui vorrebbe vivere, non starebbe così attento, come in una condizione ipnotica, al gioco di superficie dei vertici, dei notabili e degli opinionisti, ma starebbe molto più attento al lamento, molto spesso sotterraneo, del proprio ambiente immediato, del proprio quartiere, dei colleghi di lavoro, sapendo che è proprio lì, in quell’ambito che spesso si rifiuta perché sembra così limitato, che ricomincerà la ricomposizione del tessuto sociale quando le strutture centralizzate entreranno nella più totale crisi. Sulla scia di questa consapevolezza non si perderebbe tempo ed energia nel protestare contro la massiccia azione dei mezzi di diffusione controllati dai gruppi economici, ma ci si impegnerebbe nell’influenzare questi piccoli ambiti, approfittando di ogni occasione propizia di reale comunicazione sociale.
Tutto questo succede perché non si vuole rispondere alla domanda su quali sono le condizioni in cui si vuole vivere, credendo, in fondo, di essere vinti e di avere solo la possibilità di rimuginare in silenzio. E come viene chiamato tutto questo? “Dedicarsi alla propria vita”!
Cominciamo a riprenderci invece la capacità di scelta delle condizioni nelle quali vogliamo vivere e cominceremo a concepire la possibilità di un grande movimento di cambiamento, buttando all’aria la delusione che ci impedisce di proporci come protagonisti di un processo di trasformazione.