L’evento potrebbe suscitare, oltre che orrore, anche una certa meraviglia, visto che i presunti autori della violenza fanno parte di quelle istituzioni che si ergono a difensori dei cittadini. Ma come? Nemmeno dei carabinieri ci si può fidare? A questa domanda sarebbe facile rispondere con altre domande: con tutti i casi di pedofilia emersi specialmente negli ultimi anni, affideremmo i nostri figli ad un prete? E tenendo conto che la maggior parte degli abusi e delle violenze avvengono dentro le mura domestiche, perché ci si dovrebbe fidare ciecamente di un padre, di un nonno, di uno zio o di un cugino? E perché la meraviglia non ci assale quando gli autori di una violenza sessuale sono, invece, degli immigrati rumeni, somali o nordafricani?
Le categorie che siamo stati portati a costruire dentro di noi non corrispondono alla realtà, ma sono funzionali soltanto a riproporre una divisione illusoriamente tranquillizzante: come si faceva una volta a scuola, continuiamo a riprodurre a livello sociale quella lavagna in cui un’inesorabile linea verticale divideva i buoni dai cattivi.
Nella colonna dei “buoni” ci sono i carabinieri, i poliziotti, i padri e le madri di famiglia, i preti, le suore e i politici che promettono posti di lavoro; nella colonna dei “cattivi” ci sono invece gli stranieri immigrati, i rom, i giovani che scrivono sui muri, le prostitute e i mendicanti che rovinano il decoro del marciapiede sotto casa nostra e i cosiddetti malati di mente che potrebbero aggredirci da un momento all’altro e che, semplicemente perché esistono, mettono in crisi il nostro far finta di essere sani.
La violenza di cui è stata vittima la donna nella caserma di Roma è l’ultima di una serie di violenze che aveva già subito. Prima di essere vittima di una violenza sessuale, aveva già subito violenza fisica da parte di un uomo che la picchiava e per cui era fuggita dalla Lombardia ed era già vittima di una violenza di tipo economico, perché il giorno in cui ha subito l’abuso sessuale era stata scoperta mentre rubava due magliette in un supermercato, un reato evidentemente associato al fatto che era senza soldi né lavoro e con una bambina da mantenere.
La violenza si presenta sotto varie vesti: fisica, economica, sessuale, razziale, religiosa, politica, ecc. e ogni volta che si esprime contribuisce a dividere gli uomini in oppressi e oppressori.
Se la donna non fosse stata vittima di violenza economica probabilmente non sarebbe stata indotta a rubare e quindi non sarebbe finita in quella maledetta caserma.
E ancora: se non fosse stata vittima di violenza fisica da parte del suo uomo non sarebbe stata costretta a fuggire e probabilmente non si sarebbe trovata in condizioni economiche così misere da rendere molto più probabile il reato di furto da lei commesso.
Quando impareremo a non nasconderci più dietro un elenco di buoni e di cattivi? E se fosse anche questo elenco un atto di violenza? Solo quando riconosceremo la radice violenta dei problemi che affliggono la società umana avverrà la vera rivoluzione che determinerà il passaggio dalla preistoria alla storia pienamente umana.
Diceva un nostro caro amico, Silo: “Neppure quanto di peggio c’è nel criminale mi è estraneo. E se lo riconosco nel paesaggio, lo riconosco anche in me. E’ per questo che voglio superare in me e in ogni essere umano ciò che lotta per sopprimere la vita”.
A che serve, come già stanno facendo e come già hanno fatto in passato, etichettare gli stupratori di turno come delle “mele marce”? Serve ancora una volta e soltanto a nascondere a se stessi e agli altri che la violenza, per esempio, è alla base della formazione in tutte le istituzioni deputate alla pubblica sicurezza. Quella stessa violenza che porta un poliziotto a picchiare ingiustificatamente un manifestante disarmato o che spinge un soldato a torturare un prigioniero. Non esiste una violenza più giustificata di un’altra.
Se non ci fosse la violenza alla base della formazione di carabinieri, poliziotti, soldati, ma soprattutto il rispetto dell’essere umano in quanto tale, il numero di queste cosiddette “mele marce” sarebbe molto minore, se non uguale a zero. Ciò che succede, invece, è che la violenza, che è dentro ognuno di noi, non viene riconosciuta e superata, ma viene sfruttata e alimentata per essere più efficaci.
Più efficaci in cosa? A mantenere l’ordine costituito? A picchiare meglio senza essere ripresi da qualche videocamera? A rendere più punitivo un carcere? Ad uccidere il nemico con una sola pallottola?
Da un albero di questo tipo le probabilità che si producano delle “mele marce” non possono che essere pericolosamente elevate. E siccome i problemi si risolvono soltanto quando si affrontano alla radice è evidente che anche nelle istituzioni che si ergono a difensori dei cittadini dovranno cambiare parecchie cose, senza illudersi di aver risolto il problema eliminando qualche mela guasta dal cesto.
6 marzo 2011