In questi giorni stiamo assistendo sempre più impotenti alle estreme conseguenze di quello che stanno chiamando “crisi economica”.
Sappiamo che in realtà essa non è causata da fattori concreti come una carestia o la diffusione della peste, ma da “attacchi speculativi” e dalla sfiducia di un’entità superiore denominata “i mercati”.
In questo senso emerge che la crisi è “economica” solo in quanto causata da tecniche di tipo economico messe in atto dagli speculatori finanziari.
Ci sono alcune risposte pratiche che si potrebbero lanciare con forza da subito, come la pretesa che la BCE cominci ad operare come una vera banca centrale statale e che i governi le impongano di immettere liquidità nel sistema; che siano riaperte linee di credito alle imprese e agli individui a interessi ragionevoli o meglio, senza interessi, per rilanciare l’economia; legiferare urgentemente a livello europeo per tassare gli speculatori e limitarne le possibilità di azione; operare politiche di ridistribuzione della ricchezza, che è ora bloccata in fortune spropositate e improduttive: per fare tutto questo non ci sarebbe bisogno del “socialismo reale”, ma di semplici criteri di misura, di buon senso, di nonviolenza sociale.
Sappiamo che l’interesse di tutti in questo momento è focalizzato sulla possibilità di far emergere proposte pratiche come queste e, a tale riguardo, rimandiamo al “Documento del Partito Umanista Internazionale rispetto alla Situazione Mondiale”.
Ma l’intenzione di questo documento-appello non è quella di fare proposte pratiche, quanto piuttosto quella di proporre uno sforzo per cambiare la prospettiva da cui considerare il momento attuale.
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Si sta diffondendo la consapevolezza che le forze che stanno determinando la crisi siano davvero poderose, mentre si è dovuta constatare l’impotenza della classe politica di fronte a tutto questo. Affiora anche la tentazione di credere che la classe politica sia l’unica responsabile e che semplicemente sostituendola o ridimensionandola si possano risolvere le cose.
Però occorre osservare che questa sfiducia nella politica è di portata planetaria e apre il fianco a un attacco di forze irrazionali e violente, che non vedono l’ora di spazzare via definitivamente le istituzioni democratiche. Ci stanno facendo respirare un “vento di catastrofe” con cui poter giustificare qualsiasi cosa.
In questo senso sarebbe molto saggio ricordarsi come quello che accadde nella Germania della prima metà del secolo scorso fosse scaturito da una situazione piuttosto simile a quella attuale e, quindi, fare attenzione a non ricadere negli stessi errori.
Una domanda interessante potrebbe essere quella di chiedersi chi e come ha ridotto alcuni degli Stati Sovrani più importanti del mondo, come Italia e Spagna, ma anche Francia e Germania, a una sorta di società per azioni che devono rendere conto a “chi li finanzia”.
Certo è che la situazione attuale non è stata determinata dai “tecnici” che in questo momento stanno operando al governo in Italia (e nelle istituzioni europee non elettive). Proprio in quanto “tecnici” non fanno altro che dare soluzioni tecniche in base alle direttive che hanno ricevuto.
Quali sono esattamente queste direttive? Chi c’è dietro le lettere inviate direttamente al governo Berlusconi, che indicavano i provvedimenti da adottare? Ci è stato detto: “l’Europa”, come se si trattasse della somma delle voci degli altri popoli dell’Unione… ma sappiamo che coloro che hanno scritto quelle lettere sono a loro volta dei tecnici; tecnici non eletti da nessuno!
Dobbiamo pretendere che “gli azionisti” di una democrazia siano i cittadini e non, come sembra oggi, gli investitori che finanziano il debito degli stati in cambio di interessi speculativi spropositati. Ciò non vuol dire necessariamente non restituire quanto prestato, ma ridiscutere gli enormi interessi sui debiti che stanno schiacciando le economie degli stati (praticamente tutti!) in un vortice depressivo.
Dobbiamo uscire dall’attuale atteggiamento passivo in cui si aspetta che sia qualcun altro a occuparsi della situazione. Non possiamo più permetterci di credere che ci sia sempre qualcuno più preparato, più intelligente o semplicemente “più in alto” che debba o possa prendere le decisioni per noi.
Non possiamo più permetterci di pretendere che siano quelli “votati” ad avere questo compito. Soprattutto perché è ormai evidente che il gioco elettorale della democrazia rappresentativa è viziato nelle sue fondamenta. Tanto che anche se ci fosse qualcuno benintenzionato e riuscisse ad essere eletto è improbabile che sarebbe messo nelle condizioni di muoversi con libertà.
Ma la soluzione non sta certamente nel fatto di eliminare i politici e sostituirli con dei “tecnici”.
I tecnici possono operare solo in base a delle direttive, che diano loro una direzione sugli obiettivi da perseguire. La tecnica in sé non è né buona né cattiva: si possono fare bombe o curare malattie con gli stessi strumenti.
Chi sta dando le direttive ai tecnici? Non possiamo prendercela con loro e con i “sacrifici” che ci impongono se non poniamo davvero questa domanda e non pretendiamo una risposta esaustiva.
Dobbiamo chiedere, anzi pretendere, che siano fornite spiegazioni dettagliate ed esaustive sulla situazione attuale. I resoconti forniti finora sono sempre incompleti e offuscati da inutili tecnicismi. Per non parlare del fatto che non sono mai contestualizzati all’interno del processo storico che ci ha portati fino a qui.
Noi del popolo siamo trattati come bambini a cui nascondere le verità che non siamo in grado di comprendere. Il fatto che si possa essere noi a prendere direttamente le decisioni non è neanche all’orizzonte; ma siamo sicuri che non sia fattibile?
Si tratta di capire che siamo tutti responsabili e che, se non ci lasciano operare in modo attivo tale “responsabilità”, se non ci lasciano decidere direttamente per il nostro futuro allora dobbiamo pretendere di poterlo fare.
Il livello di istruzione delle generazioni attuali è unico nella storia. È arrivata l’ora di usare questa condizione e anche di migliorarla.
Non possiamo davvero più permetterci di firmare assegni in bianco.
I popoli europei possono disporre di un’accumulazione storica di millenni, certo non l’unica del pianeta, ma che aveva permesso di lanciare un progetto, quello dell’Unione Europea, che all’inizio era spinto da ideali molto più alti del pareggio di bilancio. È sicuro che i popoli europei conservano una memoria di questi ideali, pur seppellita da alcuni decenni di consumismo sfrenato e da un bombardamento mediatico che spinge tutto verso la distrazione e il timore paralizzanti. Possiamo permettere che tanti millenni di storia si riducano a una bancarotta di popoli composti da consumatori indebitati e schiavi delle banche?
Stiamo parlando di fare un salto storico verso il lancio di una democrazia diretta che superi le logiche degli interessi nazionali.
L’appello che lanciamo non è quello di aderire al nostro Partito, né tantomeno di delegare a noi la soluzione della crisi. Le proposte che facciamo devono essere considerate come un contributo, sentito e nonviolento, che può essere preso o meno in considerazione.
L’appello più importante è che tutti si “facciano carico” della costruzione di un’intelligenza collettiva e attiva, che possa dare risposte di tipo nuovo. Che nessuno si aspetti una ricetta che arrivi dall’alto, ma che si sforzi per costruirla insieme ad altri.
È a partire da questo sforzo che potremo pretendere urgentemente l’istituzione della pratica della Democrazia Diretta, in cui le decisioni importanti siano prese consultando direttamente e in modo vincolante la popolazione!
È un’utopia?
Il 4 maggio del 2004 il recentemente scomparso filosofo argentino Mario Rodriguez Cobos (Silo), fondatore del Movimento Umanista, affermò “...i popoli sperimenteranno un desiderio crescente di progresso per tutti, comprendendo che il progresso per pochi finisce con il progresso per nessuno...”
E l’anno dopo aggiunse “…In alcuni momenti della storia si leva un clamore, una straziante richiesta degli individui e dei popoli. Allora, dal Profondo arriva un segnale. Magari questo segnale fosse tradotto con bontà nei tempi che corrono, fosse tradotto per superare il dolore e la sofferenza. Perché dietro questo segnale stanno soffiando i venti del grande cambiamento.
Quando, molti anni fa, annunciavamo la caduta di un sistema molti si burlavano di ciò che per loro era impossibile. Mezzo mondo, mezzo sistema che si supponeva monolitico è crollato.
Però quel mondo che è caduto lo ha fatto senza violenza e ha mostrato le cose buone che c’erano nella gente. Inoltre, prima che scomparisse, da quel mondo si è propiziato il disarmo e si è cominciato a lavorare seriamente per la pace. E non c’è stata nessuna Apocalisse. Il sistema è crollato in metà pianeta e, a parte le difficoltà economiche e la riorganizzazione delle strutture che la popolazione ha subito, non ci sono state tragedie, né persecuzioni né genocidi. Come avverrà la caduta nell’altra metà del mondo? Che la risposta al clamore dei popoli sia tradotta con bontà, sia tradotta nella direzione di superare il dolore e la sofferenza.
Come esseri umani non siamo estranei al destino del mondo. Orientiamo la nostra vita in direzione dell’unità interna, orientiamo la nostra vita in direzione del superamento delle contraddizioni, orientiamo la nostra vita verso il superamento del dolore e della sofferenza in noi, nel nostro prossimo e laddove possiamo agire.
Che la nostra vita cresca superando la contraddizione e la sofferenza. Che la nostra vita avanzi facendo avanzare gli altri.”
Come umanisti pensiamo che, se veramente si vuole dare una risposta alla crisi, questa risposta può partire solo dal ricorrere a quanto più forte e grande c’è in ognuno di noi.