Partito Umanista 14 marzo 2012 -
Ma di che parlano governo e parti sociali? Sono mesi, ormai, che sulle prime pagine dei giornali campeggiano dichiarazioni e repliche che dicono tutto e il contrario di tutto sul tema del mercato del lavoro. Ministri più o meno tecnici da una parte e segretari sindacali più o meno spaesati dall’altra continuano a distrarci con frasi ad effetto su ammortizzatori sociali, articolo 18, flessibilità in entrata e in uscita, tipologie di contratto, assegni di mobilità, senza dimenticare ovviamente la competitività del sistema.
Mentre va avanti uno spettacolo per nulla divertente a cui contribuiscono partiti politici sempre più allo sbando, la cui unica preoccupazione è fare una riforma elettorale che assicuri loro il posto in parlamento ancora per qualche anno, l’imprenditoria italiana continua a dislocare i propri punti di produzione in luoghi dove i famigerati “lacci” non esistono più oppure non sono mai esistiti.
E non bisogna nemmeno andare troppo lontano. Basta fare una breve traversata del mar adriatico ed eccoci arrivati nel luogo della cuccagna: la Serbia.
Ufficialmente sono già 400 le aziende italiane che qui stanno facendo affari d’oro, anche se potrebbero essere molte di più. Tra di esse primeggia la Fiat, nei cui stabilimenti non possono nemmeno entrare i giornalisti, ma non mancano Benetton, Intesa San Paolo, Generali.
La disoccupazione al 24% spinge i lavoratori serbi ad accettare tutto o quasi. Nella Fiat gli operai serbi percepiscono 600 euro “lordi” mensili, cioè metà del già misero reddito di un operaio italiano. Anche diritti già acquisiti rischiano, con la pesante complicità del governo serbo, di essere aboliti, come il diritto allo sciopero, le pause durante gli orari di lavoro, la tredicesima e le ferie.
In Italia le aziende piangono miseria, ma in Serbia in solo 10 anni sono stati investiti 2 miliardi di euro.
Che cosa rappresenta questo quadro per l’Italia? Il passato, che era stato superato dalle conquiste dei lavoratori italiani? O il futuro, tanto desiderato dalla maggioranza degli imprenditori italiani che vorrebbero tornare ad essere “padroni”, non rendendosi conto che, invece, ora sono solo degli impiegati del potere bancario?
Di una cosa però siamo sicuri: più aumentano il potere regionale e mondiale delle società multinazionali e la concentrazione del capitale finanziario internazionale, più i sistemi politici perdono autonomia e le diverse legislazioni tendono ad adeguarsi ai dettami dei poteri economici.
E pensare che c’è ancora qualcuno che crede e vorrebbe far credere alla favola dei meccanismi economici che, se lasciati agire liberamente, sarebbero in grado, come se fossero meccanismi naturali, di regolare l’evoluzione sociale.
Ecco quello che realmente sta succedendo mentre va avanti la commedia del governo tecnico che dovrebbe salvare l’Italia.
Noi invece continuiamo a credere che, come ci conferma la storia dei fatti e non delle favole, i popoli progrediscono quando reclamano i propri diritti nei confronti dei poteri stabiliti e che il progresso sociale non si verifica perché la ricchezza accumulata in poche mani si riversa automaticamente verso tutti.
La Serbia ci insegna: il grande capitale difende solo se stesso. Sarebbe bene che nessuno lo dimenticasse.