Partito Umanista 17 marzo 2012 -
Da una ricerca Censis risulta che nel periodo che va dal 2007 al 2010 i cittadini italiani hanno dovuto spendere, per curarsi privatamente, più di 30 miliardi di euro. Miliardi che ovviamente vanno a sommarsi ai miliardi che tutti i cittadini che pagano le tasse hanno dovuto già sborsare per il sistema sanitario nazionale.
Dal rapporto risulta che le difficoltà sono più evidenti nelle Regioni che hanno un piano di rientro e che quindi sono il risultato dei tagli alla sanità pubblica, con un sostanziale peggioramento della qualità dei servizi.
Il futuro non si presente più roseo in quanto, sempre secondo la ricerca Censis, nel 2015 le risorse per il servizio sanitario pubblico saranno minori rispetto ai bisogni di cura dei cittadini nella misura assolutamente non indifferente di 17 miliardi di euro.
Domanda: Come la mettiamo con l’articolo 32 della Costituzione italiana, in cui si legge: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”?
In altre parole: la Costituzione è solo un simpatico libretto da sventolare durante le celebrazione dell’unità d’Italia oppure è la principale legge quadro a cui tutti si dovrebbero attenere?
A cosa stavano pensando i governatori delle regioni in deficit quando hanno elaborato questi famigerati piani di rientro? A ridurre gli sprechi nella spesa sanitaria in modo tale da garantire una sanità degna per tutti oppure ai bisogni famelici delle cordate di imprenditori privati che fanno affari sulla pelle dei cittadini?
Tenendo conto dei risultati della ricerca Censis ci sembra addirittura superfluo rispondere a queste semplici ma fondamentali domande.
Diciamola tutta: che gli sprechi nella sanità ci siano stati nessuno lo mette in dubbio, ma la maggioranza di tali sprechi sono dovuti ai soldi che lo Stato ha dovuto sborsare per mantenere la sanità privata sovvenzionata.
Se così è – e noi non abbiamo dubbi che lo sia – i piani di rientro, al di là delle dichiarazioni di facciata, sono serviti soltanto a garantire, se non ad arricchire ulteriormente, la sanità privata, attuando tagli indiscriminati di posti di lavoro e di servizi nel pubblico. La conseguenza di tali tagli non poteva che essere un ridimensionamento dell’offerta di cura da parte dei servizi pubblici, per cui le persone, siccome ci tengono alla propria salute, hanno cercato le cure necessarie nella sanità privata.
Nessuna suddetta crisi e nessun suddetto problema economico, per quanto complesso possa essere, può giustificare una riduzione della spesa sanitaria che metta a repentaglio la salute di tutti i cittadini. Se si continua a procedere come se la sanità e anche l’istruzione non fossero delle priorità, si minano le possibilità di evoluzione di una società.
Al contrario, proprio subordinando tutto alla sanità e all’istruzione, si costituisce l’unico inquadramento a cui l'economia di un Stato deve sottostare spendendo a deficit anche stampando la moneta necessaria per finanziare queste priorità. Provare per credere.