Partito Umanista 22 marzo 2012 -
Lo smantellamento dell’articolo 18 è ormai cosa fatta: ancora qualche chiacchiera inutile tra governo e parti sociali, ancora qualche ipocrita passaggio in parlamento e alla fine l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori sarà talmente trasformato da essere tanto irriconoscibile quanto inutile per i lavoratori. L’ultimo baluardo contro i licenziamenti di massa e lo svuotamento delle aziende sta cadendo. I sindacati dei lavoratori, se fossero stati davvero tali, non avrebbero dovuto nemmeno accettare di sedersi ad un tavolo di trattative in cui si sarebbe discusso dell’articolo 18. Accettare tale discussione significava accettare un compromesso. E così è stato.
In questo modo aumenteranno in modo esponenziale i rischi per il presente e il futuro dei lavoratori, mentre il profitto continuerà a prendere la via della speculazione finanziaria, cioè il fattore maggiormente responsabile della crisi mondiale attuale.
La protesta e la lotta contro lo smantellamento dell’articolo 18 sono assolutamente necessarie, ma un’altra lotta dovrà affiancarsi, forse ancora più importante.
L’assurdo processo che il grande capitale e la politica hanno innescato porteranno allo sfacelo sociale, con l’insorgenza di tensioni dalle conseguenze poco prevedibili la cui natura nonviolenta non è assolutamente garantita.
Come fermare questo processo? L’obiettivo della lotta dei lavoratori non può essere ridotta alla difesa dell’articolo 18 e delle poche altre garanzie rimaste.
Non ci si può più fidare, né di questi politici, né di questi sindacati, né tantomeno del grande capitale. La lotta dei lavoratori deve avere come obiettivo la compartecipazione nella gestione e nella direzione delle aziende affinché il capitale investito dia la sua massima resa produttiva e il profitto non vada più verso la speculazione, ma venga reinvestito nell’azienda al fine di creare nuovi posti di lavoro attraverso la sua espansione o diversificazione.
Questa è la proposta di lotta degli umanisti. Non solo difesa dei diritti acquisiti, ma soprattutto trasformazione radicale dei rapporti di lavoro verso la compartecipazione dei lavoratori nella gestione delle aziende.