Partito Umanista 24 marzo 2012 -
Dopo 40 anni dalla sua promulgazione l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori ora rischia seriamente di essere smantellato. Alle ragioni per cui, secondo il governo, sarebbe necessaria questa deleteria modifica dell’articolo 18 non ci crediamo neanche un po’.
Non è vero che si creeranno nuovi posti di lavoro, anzi, sarà per l’imprenditore più facile licenziare e le condizioni dei lavoratori che resteranno occupati peggioreranno in quanto diverranno dei veri propri schiavi moderni, sottopagati e ricattabili.
Non è vero che aumenteranno gli investimenti, anzi, sarà più facile svuotare e chiudere le aziende.
Infatti non è vero che l’articolo 18 impedisce gli investimenti. Vero è, invece, che gli investimenti sono resi più difficili dalle lungaggini burocratiche, dalla corruzione, dal controllo su vaste aree del territorio da parte della malavita organizzata. Se non ci si occupa seriamente di questi fattori ci si sta occupando d’altro, come dell’articolo 18, non di aumentare gli investimenti.
Non è vero che ridurre le garanzie per i lavoratori, di cui l’articolo 18 è solo un esempio, significa più benessere per tutti. Anzi, se andiamo a vedere che cosa è successo negli ultimi vent’anni, in cui già molti diritti sono stati eliminati ed è aumentato esponenzialmente il precariato, le condizioni di tutti, lavoratori e non, sono peggiorate. Se solo osserviamo l’incremento di tutti i tipi di disagio, dalla povertà di un sempre maggior numero di ceti sociali fino all’aumento del numero dei suicidi, i dati sociali parlano chiaro a chi vuol vederli e studiarli. Ma evidentemente questi “professori” non studiano abbastanza.
Ebbene, nonostante i dati economico-sociali siano già abbastanza eloquenti sulla grande bugia che sta passando dalle istituzioni ai cittadini, il senso della nostra contrarietà non è tutto qui.
L’articolo 18 sta allo Statuto dei lavoratori come il principio di uguaglianza sta alla Costituzione. Se l’imprenditore rischia il proprio capitale in un investimento, il lavoratore rischia letteralmente la propria vita. Eliminando l’articolo 18 così com’è si sta sancendo un principio di disuguaglianza che contraddice la stessa Costituzione, in quanto, per preservare l’imprenditore dal rischio di perdere il capitale investito si sta mettendo maggiormente a rischio la vita del lavoratore che vive solo dello stipendio guadagnato col proprio lavoro.
La modifica forse più odiosa dell’articolo 18 riguarda i licenziamenti per i quali si vorrebbe introdurre l'automatica applicazione di una sanzione economica, in sostituzione della reintegrazione. Come se poter continuare a lavorare, dopo un licenziamento senza giusta causa, fosse la stessa cosa di avere un indennizzo economico per un certo numero di mesi.
L’odiosità di tutto ciò sta proprio nella monetizzazione della vita delle persone, trattandole come nessuno vorrebbe mai essere trattato, cioè come degli oggetti e non più come degli esseri umani con le loro storie e i loro progetti di vita.
Quando Monti e la sua compagnia di bravi professori e tecnici fanno i loro calcoli e sentenziano che le loro manovre e le loro sedicenti riforme sono le uniche soluzioni per risollevare l’Italia, si sono mai chiesti se i trattamenti che stanno progettando per la maggioranza dei cittadini sono gli stessi che vorrebbero per se stessi?
Anche se rispondessero positivamente, non ci crederemmo mai.
La storia più o meno recente ci insegna che fin quando la cricca costituita soprattutto da banchieri e finanzieri, cioè chi veramente comanda in questo paese e nel mondo, continuerà a dettare l'agenda di questo governo come degli altri, si creeranno solo nuovi poveri e nuovi disperati.
Chi ha a cuore l’essere umano non scambierebbe mai la vita di una persona per un gruzzolo di soldi. Chi crede nell’uguaglianza degli esseri umani non favorirebbe mai l’ulteriore allargamento dell’abisso tra chi rischia solo un capitale e chi rischia il proprio presente e il proprio futuro.
Chi veramente si preoccupa del futuro della collettività non avrebbe alcun problema nel mettere in discussione leggi economiche che sembrano essere stabilite per natura.
Chi vuole il benessere di tutti non può considerare la violenza economica, politica e a volte anche fisica di chi detiene il potere economico come un dato di fatto, ma sa che solo eliminando tale violenza si costruisce una società più giusta e più sana.
Ecco qual è il senso della nostra contrarietà alle modifiche prospettate dal governo per l’articolo 18: la centralità dell’essere umano. Raramente l’essere umano è stato al centro delle preoccupazioni di chi gestisce e programma l’economia di un paese. Non averlo fatto ancora ci ha portato all’attuale sfacelo. Sarebbe ora di provarci, seriamente riconoscendo la proprietà dei lavoratori rispetto all'impresa, la copartecipazione degli stessi nella direzione e gestione delle aziende, percependo il profitto oltre che del salario. Crescerà così la produttività , si eviterà il trasferimento delle aziende all'estero, si garantirà il reinvestimento dei profitti nella produzione di beni e servizi e il pagamento delle tasse allo Stato Italiano.