Perché vogliamo avanzare dalla democrazia formale verso la democrazia reale e non, al contrario, retrocedere verso l'autoritarismo.
Ma quale devolution?
La riforma della Costituzione attuata dal governo Berlusconi è stata propagandata sotto il nome di "devolution". Ma se col termine devoluzione si intende un processo di riduzione delle competenze di uno Stato e la loro contemporanea attribuzione alle Regioni e agli enti locali, bisogna riconoscere che, di tutto ciò, nella riforma non vi è traccia. Anzi, è vero il contrario: si tratta di un passo indietro rispetto alla riforma del titolo V della Costituzione realizzata nel 2001 dal centro sinistra. Molte delle competenze allora attribuite alle Regioni, con quest'ultima riforma ritornano allo Stato; mentre si introduce un non meglio definito "interesse nazionale", in difesa del quale gli atti degli enti locali e le leggi emanate dalle Regioni possono venire annullati dal Parlamento. La verità è che questa riforma, spacciata come un importante avanzamento nella direzione del decentramento, altro non è se non una manovra di accentramento di poteri da parte dello Stato. A loro volta, i poteri dello Stato subiscono un processo parallelo di accentramento, in questo caso nelle mani di una sola figura: il primo ministro. È questa la parte davvero importante e pericolosa della riforma.
Una riforma fortemente antidemocratica
La sostanza della riforma consiste in un enorme aumento del potere del Presidente del Consiglio dei Ministri (che nel nuovo testo si chiama, infatti, primo ministro). Il Parlamento viene ridotto a una sola Camera, quella dei deputati, unica a legiferare sulle materie di competenza esclusiva dello Stato; il Senato federale ha competenza soltanto per le materie a legislazione "concorrente", cioè non proprie dello Stato centrale e non proprie delle Regioni. Nondimeno, il governo può imporre a disegni di legge del Senato le modifiche che risultino essenziali alla realizzazione del proprio programma.
Il primo ministro non ha più bisogno della fiducia delle Camere per insediarsi, la sua legittimazione avviene al momento dell'elezione: il capo dello Stato nomina automaticamente primo ministro il candidato della coalizione vincente. Si tratta, in pratica, di un'elezione diretta. In virtù di una legittimazione venuta direttamente dal popolo, al primo ministro sono conferiti enormi poteri, a scapito degli altri membri del Parlamento (anch'essi eletti dal popolo!) e dello stesso Presidente della Repubblica.
Il primo ministro ha il potere di revoca dei ministri e di scioglimento della Camera (che finora era prerogativa del Presidente della Repubblica). La Camera a sua volta può sfiduciare il primo ministro, ma in questo modo essa viene automaticamente sciolta e si va a elezioni anticipate. Quindi, il primo ministro ha il controllo diretto della Camera; in questo modo cade il principio della separazione del potere legislativo da quello esecutivo, pilastro della democrazia moderna. Inoltre aumenta il controllo del potere politico sulla Corte Costituzionale. Infatti aumentano i membri di nomina parlamentare, mentre diminuiscono quelli nominati dalla magistratura e dal Presidente della Repubblica. Infine, la riforma prevede una modifica gravissima e molto significativa, a cui finora nessuno ha dato rilievo: scompare dalla Costituzione la proposta di leggi di iniziativa popolare. Nel nuovo testo si afferma che la legge può prevederla, ma in ogni caso essa smette di essere un diritto costituzionale; a ulteriore conferma dell'intenzione che ha mosso gli autori di questa riforma profondamente antidemocratica.
Anziché avanzare, come sarebbe giusto, nella direzione del decentramento del potere e della democrazia reale, partecipativa, siamo in presenza del tentativo di cancellare anche quel poco di democrazia, limitata e formale, di cui godiamo oggi. Impediamo questo slittamento in senso autoritario delle nostre istituzioni dicendo NO alla riforma costituzionale.
Ma non fermiamoci qui: continuiamo a costruire e a fare pressione perché aumentino gli spazi di partecipazione e si vada verso la creazione di una democrazia partecipativa, in cui i cittadini siano autenticamente coinvolti nella gestione della cosa comune e nelle scelte che li riguardano.