La musica non cambia: come i più cinici tra i politici anche nell’attuale governo hanno aspettato che si chiudesse l’attività universitaria per l’estate prima di rendere nota quest’altra proposta targata “spending review”: aumentare le tasse per gli studenti che non riescono a laurearsi nei tempi previsti dal normale ciclo di studi. Non basta cioè che, proprio per la loro condizione di “fuori corso”, questi studenti daranno più soldi all’università, tanti quanti saranno gli anni fuori corso, ma ogni anno dovranno sborsarne di più rispetto ai propri colleghi ancora in corso.
In altre parole: Viva la discriminazione!
Non potrebbe trattarsi di altro che non di discriminazione. A nessuno di coloro che hanno concepito quest’altra assurdità gli è venuta in mente una semplice domanda: Perché uno studente potrebbe non farcela a completare in tempo i suoi studi?
I motivi possono essere molteplici, ma molto spesso si tratta di improvvisi e imprevisti problemi personali che impediscono allo studente di potersi dedicare per il dovuto tempo e con la dovuta concentrazione allo studio.
E allora, con questo emendamento dei relatori al decreto per la spending review approvato dalla commissione Bilancio del Senato, il risultato è solo uno: piove sul bagnato.
Si sfruttano, cioè, le difficoltà di una percentuale non indifferente di studenti per fare cassa.
Roba da avvoltoi, in altre parole, che si scagliano su chi già è ferito, col serio rischio che chi è meno abbiente o più fragile potrebbe essere costretto a finire anzitempo i suoi studi.
Tutto questo è per l’ennesima volta anticostituzionale, ma soprattutto rappresenta una violenza di ordine sia economico che psicosociale, come violento risulta essere, d’altronde, gran parte del decreto per la spending review.
Violento come solo può esserlo chi non si chiede più il perché delle cose.