La rivolta dei migranti nel Centro di Prima Accoglienza di Cona, alla periferia di Venezia, purtroppo non è una sorpresa. Anzi, era assolutamente prevedibile.
Dopo la morte, dovuta a cause ancora da accertare, di una giovane ivoriana in un bagno, la rivolta è esplosa in un CPA che accoglie circa 1400 migranti, nonostante la Asl avesse dichiarato che al massimo ne poteva contenere 540. La rivolta era stata preceduta da altri episodi di insofferenza nei confronti di un sistema che non funziona. Un anno fa i migranti, che erano la metà di quelli ora presenti nella struttura, già avevano protestato per le carenze igienico-sanitarie; ad agosto scorso c’era stato un sit-in sulla strada per denunciare i tempi troppo lunghi delle pratiche sulle richieste d’asilo.
Perché nella Regione Veneto, guarda caso governata dalla Lega Nord, i due terzi dei 14mila migranti presenti sul territorio è ammassato in strutture, come quella di Cona, definite “temporanee” e gestite dalle prefetture?
Perché tale situazione riguarda non solo il Veneto, ma la maggioranza delle altre regioni italiane? Dei 180mila migranti presenti sul territorio nazionale solo poco più di 23mila sono stati accolti nel Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (SPRAR).
Perché, nonostante le procedure di identificazione vengano eseguite appena i migranti giungono sul nostro territorio, si continua a parlare di “clandestini” e ci vogliono mesi e mesi per dare seguito alle richieste di asilo?
Perché il ministero dell’interno vorrebbe creare nuovi Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE) e non esiste invece una legge che impedisce di ammassare centinaia di profughi in un’unica struttura? In questo modo si permette, tra l’altro, ad enti poco raccomandabili di fare affari d’oro sulla pelle dei profughi, gestendo le strutture accoglienti in modo talmente disumano e poco trasparente da essere denunciate in alcuni casi per truffa e maltrattamenti.
Un simile sistema non sembra per nulla il frutto di una semplice disattenzione o incapacità di gestione. Un simile sistema appare invece funzionale al mantenimento di uno status quo molto redditizio, sia in termini di propaganda discriminatoria da parte di parti politiche che non saprebbero di che parlare se non ci fosse l’immigrazione, sia in termini di sfruttamento: tutti i migranti che non ottengono protezione, cioè la maggioranza, non possono essere assunti legalmente e quindi si trasformano in manodopera a costi irrisori e disponibile a lavorare in condizioni disumane.   
Risulta quindi necessario cambiare strada, uscire dallo status quo.

I primi provvedimenti dovrebbero essere:

Regolarizzazione di tutti i residenti di fatto;
Chiusura di tutti i centri che nei fatti non sono di accoglienza ma di detenzione;
Promulgazione di una legge che impedisca di concentrare grandi numeri di persone in una sola struttura;
Organizzazione in tutte le città di “residenze di accoglienza”, confortevoli e dotate di centri di informazione e di assistenza sanitaria;
Nessun respingimento, ma piena accoglienza dei profughi, anche come strumento per combattere le organizzazioni criminali che oggi si arricchiscono sulla pelle dei disperati in fuga dalla miseria e dalla guerra;
Destinazione di una percentuale adeguata del PIL all’aiuto ai Paesi d’origine dell’immigrazione.


Questi sono solo i primi provvedimenti che uno stato democratico dovrebbe adottare. Specialmente l’Italia, che ha una Costituzione che all’articolo 10 dichiara: “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge”.


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