Dopo la legge 194, adesso è il turno della legge 180, la cosiddetta legge Basaglia. Il ministro Storace ha già iniziato la sua campagna elettorale. Nulla da eccepire, se non fosse per il fatto che Storace è il ministro della Sanità e quindi ogni volta che vuole assicurarsi qualche voto con dichiarazioni ad effetto e iniziative revisioniste, lo fa speculando sulla salute dei cittadini. Lo ha fatto con le donne a proposito della legge 194, lo fa adesso con le persone che soffrono di disturbi mentali a proposito della legge 180. Francesco Storace, a margine dell'insediamento del presidente della Croce Rossa Italiana, così recita: "Credo che sia giunta l'ora di mettere mano alla legge 180, perché si tratta di dare una prospettiva di sicurezza alle famiglie. Non metto in discussione l'impalcatura della legge, probabilmente ci sono cose che trent'anni dopo vanno ridiscusse." |
Come si può vedere il messaggio è diretto agli elettori, cioè soprattutto alle famiglie, mentre i diretti interessati non sono neanche menzionati. Inoltre l'attacco è mirato alla legge, come se il problema fosse la legge-quadro approvata nel 1978 e non le numerose carenze e i decennali ritardi nella sua effettiva applicazione.
Clessidre umane
Dalle dichiarazioni del ministro non si evince chiaramente quale direzione dovrebbe prendere questo "mettere mano" alla legge 180, ma facendo riferimento alle numerose proposte di cambiamento di questa legge provenienti dalla maggioranza di governo, non ci aspettiamo niente di buono.
Dalle dichiarazioni del ministro non si evince chiaramente quale direzione dovrebbe prendere questo "mettere mano" alla legge 180, ma facendo riferimento alle numerose proposte di cambiamento di questa legge provenienti dalla maggioranza di governo, non ci aspettiamo niente di buono.
Le proposte sono state numerose, ma nessuna ha mai superato, finora, lo scoglio della XII Commissione parlamentare permanente (Affari sociali): le proposte di legge sono la C.152 dell'onorevole Cè, la C. 174 di Burani Procaccini, il progetto di testo unificato n. 174 Burani Procaccini, la C. 3932 di Naro, Milanese e Castellano, la C. 4420 di Lucchese, il progetto di testo unificato Burani-Naro, la C. 4701 sempre di Lucchese.
Senza entrare nel dettaglio di tali proposte, possiamo affermare che tutte rappresenterebbero, qualora venissero approvate, un passo indietro drammatico, non solo per chi soffre di disagio mentale, ma per la libertà e la democrazia in questo paese.
Il 7 aprile del 2001 l'Organizzazione Mondiale della Sanità, in occasione della giornata mondiale della salute mentale, indicava la legge 180 come l'unica in grado di affrontare in termini di lotta all'esclusione e di costruzione di percorsi di cura, di reintegrazione e di rimonta sociale, lo stigma e la discriminazione che ancora in ogni paese, specie in quelli occidentali, colpisce le persone affette da disturbo mentale. L'OMS, in altre parole, indica l'esperienza del nostro paese come uno dei pochissimi eventi innovativi nel campo della psichiatria su scala mondiale.
I detrattori della legge 180 dovrebbero riflettere molto bene sulle conseguenze di una marcia indietro. Per capire bene il significato di ciò che stiamo dicendo, riportiamo solo una delle tante riflessioni di Franco Basaglia: "Nell'ospedale psichiatrico in cui lavoro, anni fa era in uso un sistema elaboratissimo per mezzo del quale l'infermiere di turno notturno si garantiva di essere svegliato ogni mezz'ora da un malato, per poter timbrare la sua scheda di presenza, così com'era d'obbligo. La tecnica consisteva nell'incaricare un malato (che fra l'altro non poteva dormire) di dividere il tabacco di una sigaretta dalle briciole di pane che vi erano state mescolate: L'esperienza aveva dimostrato che per questo lavoro di smistamento, occorreva appunto mezz'ora, dopo di che il malato svegliava l'infermiere e riceveva in premio il tabacco. L'infermiere timbrava la sua scheda (era necessario che testimoniasse ogni mezz'ora di essere sveglio) e riprendeva a dormire, incaricando un altro malato o lo stesso malato di ricominciare - nuova clessidra umana - il suo lavoro alienante.
Contro lo stigma
Oggi, grazie alla legge 180, sono attivi nei servizi pubblici più di 6.000 psichiatri, mentre erano solo 700 alla fine degli anni '70; più di 3.000 sono gli psicologi impegnati, a fronte di solo alcune decine poco più di vent'anni fa; più di 40.000 sono gli infermieri. Ma le aree della psichiatria si sono arricchite di altre professionalità, nuove risorse umane, come le cooperative e le imprese sociali, che spesso praticano esperienze diverse, promuovendo obiettivi nuovi e a volte sconosciuti. Si sono sviluppati anche lavori nuovi, affrontati con passione soprattutto da moltissimi giovani che, proprio grazie al loro sguardo non condizionato, spesso intraprendono percorsi inusuali e sorprendenti, non facilmente accettabili per la psichiatria istituzionale e accademica.
Oggi, grazie alla legge 180, sono attivi nei servizi pubblici più di 6.000 psichiatri, mentre erano solo 700 alla fine degli anni '70; più di 3.000 sono gli psicologi impegnati, a fronte di solo alcune decine poco più di vent'anni fa; più di 40.000 sono gli infermieri. Ma le aree della psichiatria si sono arricchite di altre professionalità, nuove risorse umane, come le cooperative e le imprese sociali, che spesso praticano esperienze diverse, promuovendo obiettivi nuovi e a volte sconosciuti. Si sono sviluppati anche lavori nuovi, affrontati con passione soprattutto da moltissimi giovani che, proprio grazie al loro sguardo non condizionato, spesso intraprendono percorsi inusuali e sorprendenti, non facilmente accettabili per la psichiatria istituzionale e accademica.
Nonostante tutto ciò, le cose non vanno come dovrebbero andare.
La cura delle persone con disturbi mentali lascia ancora molto a desiderare in molte, troppe zone del nostro paese. Prima di tutto la psichiatria spesso non vuole vedere i propri limiti e la sua incapacità di creare nuove strategie rende troppo spesso cronica e inguaribile la malattia mentale.
Ma ciò che risulta più offensivo proprio nei confronti delle legge Basaglia è l'esistenza di troppi servizi di salute mentale inadempienti, a volte assolutamente inesistenti, se non addirittura fasulli. Questo fallimento fa da base alle false argomentazioni dei detrattori della legge 180, che vorrebbero far ricadere sulla legge stessa la responsabilità di tale fallimento.
Se le proposte di legge avanzate dalla destra venissero approvate, rappresenterebbero una grave violazione dei diritti fondamentali alla libertà ed alla salute dei cittadini italiani, e un grave danno alla professionalità degli operatori psichiatrici. Tali sciagurati disegni di legge, infatti, tendono all'abrogazione degli articoli della L. 833/78 (riforma sanitaria) che, recependo la L. 180/78 e riconoscendo la psichiatria come specialità medica, hanno inserito l'assistenza psichiatrica nel Servizio Sanitario Nazionale, collocando chi soffre di una malattia mentale in posizione di parità rispetto a chi soffre di qualsiasi altra malattia. Con tale abrogazione si definirebbe un circuito separato per i pazienti psichiatrici, non solo dal punto di vista dei percorsi di trattamento, ma anche dal punto di vista giuridico.
Alla base di questi disegni di legge c'è una concezione arcaica della malattia mentale, in cui si assolutizza la dimensione biologica contrapponendola a quella psicosociale, operando una massiccia medicalizzazione dei disagio psichico, anche nelle sue forme meno gravi.
Tale concezione antiumanista della malattia mentale si concretizzerebbe, attraverso queste proposte di legge, in:
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creazione di una normativa speciale per i Trattamenti Sanitari Obbligatori, eliminando di fatto le garanzie previste dalla L. 833, che sancisce l'eccezionalità del provvedimento e l'uniformità di trattamento per ogni tipo di malattia, proponendone, al contrario, un uso spregiudicato e massiccio, anche in strutture non sanitarie, praticamente senza limiti di tempo e senza garanzie per il cittadino, con modalità lesive dei suoi diritti elementari;
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legittimazione di fatto, a livello micro e macrosociale, degli atteggiamenti di rifiuto, espulsione ed emarginazione del malato, preordinando strumenti e percorsi assistenziali che ripropongono logiche di neomanicomializzazione diffusa, con la creazione di strutture residenziali, anche private, in cui effettuare trattamenti obbligatori senza un preciso limite temporale;
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preconizzazione della privatizzazione del Dipartimento di Salute Mentale, che rappresenterebbe un ulteriore passo avanti verso lo smantellamento dello stato sociale;
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privazione, in quanto leggi-quadro, di una precisa definizione dei livelli essenziali di assistenza, rischiando di amplificare le difformità, purtroppo già esistenti, nel territorio nazionale, della qualità e dell'assistenza offerta a livello delle singole regioni;
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proposta di un modello di prevenzione, basato quasi esclusivamente sullo screening di popolazioni a rischio presso le scuole, che genera stigmatizzazione ed esclusione.
Queste proposte, per quanto fuori tempo e fuori luogo, denunciano tuttavia l'inconsistenza delle politiche locali, le mancanze di risorse e di investimenti, le inadempienze organizzative, le violenze e gli abbandoni, i manicomi dimenticati e i manicomi familiari. Denunciano la solitudine delle famiglie e delle persone affette da disturbo mentale. Contestano ritardi, disattenzioni politiche ed amministrative e, non ultime, le resistenze al cambiamento della stessa psichiatria e degli psichiatri che, passivamente, hanno tollerato e talora alimentato tutto questo.
Teoria e pratica
La legge 180 ha portato allo spostamento delle attività curative e di intervento dalle mura ospedaliere alla comunità, al fine di garantire l'assistenza, la cura e la riabilitazione del "malato mentale". Ciò ha richiesto l'istituzione di strutture e di competenze che permettessero ogni tipo di intervento. All'interno dei distretti territoriali operano i Centri di Salute Mentale, coordinati da Dipartimento di salute mentale della ASL corrispondente. Coordinati dal DSM sono anche le strutture Residenziali, i Centri Diurni, i Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura.
La legge 180 ha portato allo spostamento delle attività curative e di intervento dalle mura ospedaliere alla comunità, al fine di garantire l'assistenza, la cura e la riabilitazione del "malato mentale". Ciò ha richiesto l'istituzione di strutture e di competenze che permettessero ogni tipo di intervento. All'interno dei distretti territoriali operano i Centri di Salute Mentale, coordinati da Dipartimento di salute mentale della ASL corrispondente. Coordinati dal DSM sono anche le strutture Residenziali, i Centri Diurni, i Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura.
L'obiettivo del legislatore era quello di decentrare la responsabilità della tutela della salute dei cittadini, e quindi anche della loro salute mentale, a strutture territoriali che agissero negli ambiti abitativi dei cittadini. Nel caso specifico della salute mentale, si aggiungeva la forte pressione esercitata dall'opinione pubblica a favore della chiusura definitiva dei manicomi, in cui i malati mentali venivano rinchiusi per tutelare la parte "sana" della società.
Purtroppo molte delle speranze sono andate deluse. Oggi il cittadino, nella maggioranza dei casi e a maggior ragione colui che soffre di disturbi mentali, si sente abbandonato.
Ovviamente la legge Basaglia non va messa in discussione, ma va messa invece sotto il fuoco della critica la grande incoerenza tra le enunciazioni teoriche e le pratiche, tra i principi e i modelli organizzativi, tra le risorse in campo e i reali percorsi di cura. In altre parole si pone la questione della qualità dei servizi.
Secondo il progetto-obiettivo 98-2000 (Decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre 1999; Approvazione del progetto obiettivo "Tutela salute mentale 1998-2000") quelli indicati di seguito sono i principali obiettivi di salute che devono essere perseguiti, attraverso l'azione complementare e coordinata di tutti i soggetti e le istituzioni che, a vario titolo, concorrono alla tutela della salute mentale:
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promozione della salute mentale nell'intero ciclo di vita, anche all'interno dei programmi di medicina preventiva e di educazione sanitaria;
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prevenzione primaria e secondaria dei disturbi mentali, con particolare riferimento alle culture a rischio, attraverso l'individuazione precoce, specie nella popolazione giovanile, delle situazioni di disagio e l'attivazione di idonei interventi terapeutico preventivi;
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prevenzione terziaria ovvero riduzione delle conseguenze disabilitanti attraverso la ricostruzione del tessuto affettivo, relazionale e sociale delle persone affette da disturbi mentali, tramite interventi volti all'attivazione delle risorse (quantunque residuali) degli individui e del contesto di appartenenza;
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salvaguardia della salute mentale e della qualità di vita del nucleo familiare del paziente; miglioramento del funzionamento globale dei nuclei familiari con gravi problemi relazionali;
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riduzione dei suicidi e dei tentativi di suicidio nella popolazione a rischio, per specifiche patologie mentali e/o per appartenenza a fasce d'età particolarmente esposte (adolescenti e persone anziane).
Questi sono i principi e le enunciazioni teoriche, espressioni di mutamenti istituzionali necessari ma non sufficienti. Da un punto di vista formale le trasformazioni si sono verificate; le strutture, anche se ancora insufficienti, sono state costruite, ma non c'è connessione tra i mutamenti istituzionali e la reale trasformazione profonda delle prassi, trasformazione che avrebbe dovuto dare il senso più profondo alla riforma psichiatrica in Italia del 1978. Al contrario si è verificata la regressione della buona pratica fino a livelli addirittura di tipo neo-manicomiali: contenzione fisica e psicofarmacologica, meccanicità di tipo burocratico del rapporto col paziente, rifiuto di prestazioni o di interventi, progressiva riduzione del personale dei servizi.
"La libertà è terapeutica"
Oggi più che mai, quindi, bisogna rilanciare la legge 180 che, basata evidentemente su presupposti umanisti, ha restituito a tutti coloro che venivano etichettati come "matti da legare" lo statuto di cittadini, il diritto ad esistere, il diritto di essere inclusi in quel contratto sociale da cui erano stati espulsi.
Oggi più che mai, quindi, bisogna rilanciare la legge 180 che, basata evidentemente su presupposti umanisti, ha restituito a tutti coloro che venivano etichettati come "matti da legare" lo statuto di cittadini, il diritto ad esistere, il diritto di essere inclusi in quel contratto sociale da cui erano stati espulsi.
Oggi in Italia, grazie a quella legge, i soprusi che i malati e le loro famiglie continuano a subire, sono riconosciuti per quello che sono: ingiustizie che, proprio perché esiste quella legge, sono finalmente riconoscibili come tali. Le persone ancora legate ai letti, le porte chiuse, le mortificazioni corporali, gli abbandoni intollerabili sono gli oltraggi a quel diritto di cittadinanza, che oggi, quando viene violato o negato, genera imbarazzo, obbliga a nascondersi, a trovare scuse.
Grazie alla riforma psichiatrica del 1978 le persone chiuse nella loro cosiddetta "demenza" oggi possono di nuovo parlare di sé, possono guardare oltre il muro dietro cui la psichiatria aveva sepolto vive le loro storie. Molti uomini e donne che fino a 30 anni fa sarebbero state condannate a sopravvivere dentro i manicomi, oggi lavorano, hanno una famiglia, svolgono compiti di responsabilità, frequentano i teatri, i cinema, leggono, scrivono, giocano a calcio. Insomma amano fare le stesse cose che amiamo tutti.
Ciò di cui i politici si dovrebbero occupare, non è cambiare una legge che tutti ci invidiano, ma di ciò che manca. Ciò di cui si sente la necessità non sono le chiacchiere controriformiste che hanno intenti esclusivamente e meramente elettoralistici, ma sono invece investimenti materiali e risorse umane finalmente adeguati, stimabili intorno a quel 5%, tante volte proposto ma mai accordato, della spesa sanitaria da destinare alla salute mentale. Ciò che serve è un impegno tangibile, da parte del governo e degli enti locali, per rafforzare le reti dei servizi comunitari, attivando centri di salute mentale aperti 24 ore su 24, 7 giorni su 7, e residenze comunitarie per popolazione ed aree definite; un impegno affinché i servizi ospedalieri di diagnosi e cura, i servizi di emergenza, non siano situati nei sottoscala degli ospedali, diventando molto spesso bunker inesorabili e terrificanti. Inoltre è necessario che ci sia finalmente un'assunzione di responsabilità da parte del mondo accademico, troppo attento ad accumulare pubblicazioni "scientifiche" per conto delle case farmaceutiche, impegnandosi invece a garantire un insegnamento coerente con il modello di organizzazione dei servizi che il nostro paese ha individuato e cerca di realizzare. Ed infine è necessario che sia operativo il coinvolgimento degli enti locali affinché promuovano programmi di formazione e di inserimento lavorativo delle persone con disturbo mentale.
Perciò, bando alle chiacchiere. Si ritirino tutte le proposte di legge finora presentate. Si applichi la legge 180. Si assegnino le risorse atte al perseguimento degli obiettivi di salute mentale. Si definiscano i modi per rendere disponibili e per utilizzare in modo soddisfacente tali risorse, definendo criteri omogenei di valutazione. Si lavori per un obiettivo imprescindibile: garantire comunque e dovunque il diritto di cittadinanza, per tutti e a tutti i livelli.
"La libertà è terapeutica" c'era scritto sui muri del manicomio di Trieste che finalmente abbatteva i suoi muri. Ciò non significa che queste persone siano già libere. Una miriade di persone che, nonostante la 180, devono battersi quotidianamente contro tanti nemici, spesso lontani e invisibili, ma sempre molto più forti di loro. Ministri, politici, tecnici, sindacati, amministratori locali, giudici, preti, giornalisti, uomini comuni che troppo spesso le hanno considerate oggetti, pensando che non avessero niente da dire, negando sempre le loro storie. Condannandole ad un'estraneità irreversibile.
Ma la battaglia per queste persone è una battaglia per tutti, perché se i "matti" avranno meno voce, saranno tutti i cittadini ad essere ridotti al silenzio.